lunedì 8 marzo 2010

Pendolare Torino Milano, Febbraio 2010

26 02 2010
Il treno affollato di aliti e fianchi compressi nei jeans si muove verso il mio ignoto costeggiando montagne innevate. I pali di cemento spingono il treno lontano. Mi chiedo come ci si possa salvare e quando saltare dal treno per scendere evitando di farsi esplodere la testa contro quei pali, mentre bocche parlano di tal Guido e dei soldi che deve. La mia testa aperta lascia vedere pensieri improbabili, paure tangibili e un interruttore che attira le dita dei miei ignoti compagni di viaggio. Parlano troppo, ad alta voce, urlano, i miei pensieri. Spegnete quella testa, spegnetela. off.
Viaggio sopra un treno che brucia stazioni e odora di bachelite. Tra gente stanca, tra valigette e borchie, tra auricolari e libri che rubano pensieri, che zittiscono ricordi. Tra immigrati, emarginati, dimenticati. Lo stomaco in bocca, il mio sacco vicino e il suo contenuto di parole, sogni e biancheria sporca. "E' tutto un equilibrio sopra la follia…. senti che fuori piove… senti che bel rumore".
Viaggia con una rosa rossa che protegge deciso dalle spinte di questo o quel passeggero incurante. Viaggia con la rosa appoggiata nello zaino verde. Il nastro rosso brilla rifiutandosi di appiattirsi sotto la luce dei neon e il grigio del pavimento plasticato. Viaggia con me, agitato, innamorato, viaggia con scarpe economiche appena comprate e un completo grigio, la camicia aperta a V sul collo, il dopobarba del supermercato, la pelle rosa da rasoio nervoso. Si passa la mano sul viso come per scacciare la paura di un rifiuto… la paura di essere voluto, la paura del dopo, della mattina dopo, della settimana dopo, delle ore di treno che li distanziano, dei chilometri di pianura e fiume che li dividono, passa la mano sugli occhi per cancellare pensieri di solitudine e disegnarvi al posto il viso di lei, il suo sorriso, per ascoltarne il tono della voce, le inclinazioni del suo parlato, il nervoso dei denti sulle pellicine, il rossore delle guance sotto il suo sguardo quel giorno in pizzeria, sorride; vede se stesso riflesso, mi fissa ma non mi vede, mi attraversa con lo sguardo in direzione mare. Mi mette a fuoco lentamente, la coscienza di se riemerge dalla bocca dello stomaco. Mi parla e cerca di buttar fuori quel qualcosa che gli stringe il diaframma, annodato come l'elastico che gli tiene i capelli in una coda corta, che cade su di un impermeabile nero. Mi offre una sigaretta, no grazie… ma si dai, grazie… il fumo entra nei miei polmoni dopo anni di nostalgia e una nausea insolente sale e rovina l'incontro. Mi definisce artista, solo perché' ho fotografato la sua rosa rossa in tanta decadenza umana e meccanica. Mi lascia il suo indirizzo per mandargli la foto.. scendiamo dal treno e lui mi segue, come se avesse paura di rimanere solo, solo, solo, solo ad aspettare altre quattro ore il treno che lo porterà dall'altra parte d'Italia, dove arriverà domani mattina, mi segue nervoso, indicandomi la via per il metro e parlando di come inseguire i propri sogni, di come sentire la vita vibrare nel sangue, di come non sta più nei vestiti appena comprati da un'emozione mista di terrore ed eccitazione. Annuisco, in bocca al lupo, e mi dirigo verso la metro.