martedì 2 ottobre 2007

Appunti di bioetica ebraica: il pensiero ebraico e le nuove tecnologie.

Di Aaron Fait e Michael Beyo
Dal libro"In principio l'uomo creò il clone: uno scienziato e un rabbino discutono".(Il testo che segue é parte integrante del lavoro degli autori, che depositato é protetto dai diritti d'autore)
I disegni sono opera di Luigi Pacetti, é vietata la riproduzione senza il conseso esplicito dell'autore.


L'ebreo e il suo pensiero, e piú in generale la filosofia ebraica, fondano le proprie radici in quell'immensa libreria di discussioni, di studi, commenti e approfondimenti della Torah, che é la tradizione "orale". Da queste analisi scaturisce la Halachá, compendio di leggi di etica, di alimentazione, leggi che disciplinano il rapporto dell'ebreo, tra sé e sé, tra sé e il mondo, tra sé e D-O.

Le nuove tecnologie si sviluppano in un contesto storico e sociale che varia secondo il tempo e lo spazio. La nostra percezione (di individui) delle nuove tecnologie, perciò, è influenzata da concetti e opinioni valide in quel momento e in quel luogo, non solo, ma spesso riguarda più le istanze sollevate da una loro ipotetica applicazione, che l'importanza scientifica della scoperta stessa.Ció detto, non possiamo impedire che filosofi, intellettuali, uomini di religione, ampie frange della società, definiscano, in determinati tempi e luoghi, le istanze morali sollevate dalla ricerca scientifica. Possiamo solo sostenere che la scienza non è in grado di dare loro risposta; la scienza è estranea al concetto di bene e male, non possiede metodi per emettere giudizi su simili temi. Lo scienziato non può nulla, se non rendere limpida il più possibile la propria attività agli occhi dell'opinione pubblica, staccandola da interessi che non le competono. Lo scienziato puó combattere l'ignoranza, l'ipocrisia e la strumentalizzazione dei dati scientifici da parte di facili urlatori, cercatori d'oro, di scoop e falsi miti o di uno spazio sui giornali. L'ebraismo puó. Per la storia del suo pensiero, che pure saldamente impiantato in una massiccia struttura di base, appare singolare per due aspetti: il primo, la capacità di capire i cambiamenti e la propensione a un'interpretazione non massimalista dei fenomeni materiali; il secondo, il largo orizzonte culturale di cui può trarre profitto grazie alla diaspora. "Un frutto dal nocciolo duro, ma dalla polpa in continua fermentazione". Concetto base del pensiero filosofico-religioso ebraico, e di conseguenza della Halakhá é la sacralitá della vita: la vita ha valore assoluto, di fronte a cui nulla regge, nemmeno l'istituzione dello Shabat. Ció ha modellato la legge ebraica rispetto al nostro rapporto con il prossimo, con eventi quali la gravidanza, con l'embrione, il moribondo, il medico, con il vecchio e la natura.Il concetto di persona é al centro di una discussione ormai logora ed esaurita nella societá "occidentale", che vede posizioni opposte e tra cui la distanza é incommensurabile. Secondo la Halakhá la persona ha un inizio. La vita ha inizio alla fecondazione. Rimane ció nonostante incompleta, una vita in potenza fino al momento in cui il feto esce con la maggior parte del corpo dalle viscere della madre: il momento del primo respiro; é il primo respiro di una Persona. Da questa definizione si ramificano discussioni che esulano da questi brevi appunti e sono riassunte in una serie di decreti di importanza rilevante per il singolo ma anche per il mondo medico-scientifico. La Halakhá per esempio obbliga a salvare una donna in pericolo di vita a causa di una gravidanza problematica. Lei, la donna, la Persona precede il feto che porta in grembo. E' obbligatorio salvare la donna addirittura se a rischio non é il suo corpo ma la sua mente come puó avvenire se vittima di violenza sessuale (Pensiamo ai campi di violenza carnale nell' ex-Jugoslavia dove diecimila donne hanno trovato l'inferno). Similmente, in una gravidanza pluriembrionale viene consentita e consigliata la diluzione degli embrioni; un numero elevato di embrioni puo' compromettere la vita della madre oppure degli embrioni stessi o parte di essi. La Ghemará tratta estensivamente lo status dell'embrione e a riguardo parla in termini crudi, schietti e lucidi di aborto. Allo stesso modo viene contemplata l'investigazione della genetica embrionale per assicurare l'assenza di malattie a volte devastanti sia per il bimbo che per la famiglia e la selezione degli embrioni da trapiantare in un ciclo di FIV. La Halakhà è piuttosto chiara sull'inesistenza di un dovere a mettere in pericolo (effettivo) la propria vita per salvare quella di un altro. Non esiste costrizione morale al rischiare effettivamente la propria vita. Il pre-embrione (l'embrione ante-trapianto), vita ancora in potenza, rientra nelle derivate minori del concetto appena riportato: l'unico modo di salvarlo è di trapiantarlo nell'utero della madre ,la legge ebraica riconosce i pericoli per la salute della donna, se non per la sua stessa vita, causati dalla gravidanza e dal parto, tanto più se si tratta di un parto pluri-embrionale, non può, quindi, costringere una donna a incorporare e gestire uno, due o tre embrioni per assicurarne una possibile vita futuraAltro esempio inerente a questa breve discussione é la ricerca sulle cellule staminali e le sue infinite e promettenti applicazioni. La tecnica conosciuta anche sotto il nome di clonazione terapeutica, utilizza tra le varie fonti di cellule i blastocisti, agglomerati cellulari entro il 14gg dalla fecondazione come ineguagliabile fonte di cellule totipotenti o multipotenti, cellule che possono svilupparsi in qualsiasi tessuto: la retina, pelle, tessuto cardiaco, sangue. La cultura occidentale, per lo piú in Europa, sotto l'influenza del cristianesimo livella le differenze tra l'agglomerato di un esiguo numero di cellule e la persona e mette il veto sulla ricerca. La Halakhá giá nella figura di Rav Shach (1621-1662), una delle maggiori autoritá rabbiniche di tutti i tempi, commenta a riguardo: "Fino al quarantesimo giorno [l'embrione] non e' nulla!"; "acqua" riporta il Talmud. Lo status religioso temporaneo di una donna che abortisce entro il quarantesimo giorno rimane immutato. Il pensiero ebraico contemporaneo legge l'importanza tra le righe dei titoli delle riviste scientifiche odierne, e mantiene una posizione favorevole alla ricerca sulle cellule staminali.Di grande peso nel favoreggiare la ricerca sulle cellule staminali e le sue applicazioni, oltre alla cura di numerose malattie, é la prospettiva di una facilitazione dei trapianti di organi. Problematico, in ogni societa', è il trapianto di organi che dipende da risorse estremamente limitate (i.e. corpi da cui estrarre organi intatti e funzionanti) e costringe il sistema, la societá a scelte "moralmente" difficili. Alla base di queste scelte é il dilemma sul valore della vita, ma soprattutto quando questo valore venga a mancare o quando diventi di importanza relativa. Gli ultimi istanti di vita di una persona, del moribondo o gli attimi di una vita ai nostri occhi "inutile" come nel caso di un comatoso, hanno nel pensiero ebraico un posto di riguardo. "il moribondo é come un vivo sotto ogni aspetto" leggiamo nel Shulhan Aruch (il capolavoro halachiko di Rabbi Yosef Caro, 1488-1575). Questo stesso diritto inalienabile alla vita rende piú difficili, se non impossibili pratiche quali l'eutanasia nelle sue diverse forme. Una "fonte d’organi", come puh essere il comatoso, il moribondo, il malato terminale, rimane nel pensiero ebraico una Persona i cui ultimano istanti di vita valgono per l'ebraismo come tutta la vita del mondo avvenire. Le cellule staminali possono dare risposta a quello che nella nostra società rimane un dilemma irrisolvibile: quando terminare la vita di un uomo? Quando un uomo vale più di un altro uomo? quando preferire la vita di una persona a quella di un'altra? preferirla in base al relativo apporto alla societá? in base a interessi economici? o in base al "senso" della vita che la societá decide come lo Standard in un momento X della sua storia? La storia é colma di orrori che "scivolano" su queste stesse domande.Un gruppo di cellule ancora in stadio indifferenziato puó riportare la societá a un concetto assoluto di vita; puó riportare il medico al dovere unico di curare e non uccidere per "misericordia" verso il paziente o verso il suo vicino; puó dare il rimedio a malattie che appesantiscono la nostra vita fino a renderla insopportabile.Tra il pieno rispetto della vita e della sua fine, l'ebraismo dona al pensiero bio-etico occidentale spunti nuovi per una riflessione lucida sui dilemmi della scienza moderna.


Aaron Fait (Ph.D. in Biochemistry) - Michael Beyo (Rabbino, M.A. in scienze politiche)

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