venerdì 28 dicembre 2007

Buone nuove per il generale e il fanatico



Sono bastati due tentativi soli. Nelle polverose strade del Pakistan, colei che portava un messaggio diverso dai tantra militaristici del generale o da quello dei fanatici musulmani non ha potuto contro la forza della violenza. Come puo' una donna battersi contro la lotta armata votata a portare un paese nel caos o contro un esercito impegnato a tenerlo imbavagliato. Come possono parole semplici come pace, come unita', democrazia, partecipazione, liberta' sconfiggere odio, sciovinismo e terrore. Giá nn puó. E Benazir é saltata in aria come altre decine di persone, dilaniate dalle viti sparate in ogni direzione dall'esplosione di un maledetto ignorante terrorista. Forse c'e' ancora chi si rovina la testa con le cazzate della guerra tra oriente e occidente, si forse ancora qualche ignorante o ipocrita accusa l'america per le ondate di terrorismo tra shiiti e sunniti o ancora per gli attentati dell'11 settembre. Forse ancora qualcuno si veste delle balle anti imperialiste e della formula pace in Palestina = pace in medio oriente. Forse qualcuno ancora non vede che é l'ignoranza razzista fanatico religiosa, quella che purtroppo, in questi decenni, abita il mondo islamico che uccide e va fermata. La Bhutto era l'esempio di come lo stesso Islam possa essere piú sensibile e civile di qualsiasi altra religione, ma anche il suo contrario: Benazir muore. Una donna che amava il suo paese tanto da tornare in un momento difficile, affrontando senza nascondersi il suo popolo, parlando di futuro, di speranza. Ecco qui. Il pakistan torna nel limbo. Dondolandosi tra colpi di stato ed attentati. L' occidente guarda questo nuovo aborto di un embrione di democrazia. L'Italia rimane a guardare, con qualche stupida frase di questo o quel politico dal tono impotente. Politici incapaci e malvolenti di prendere posizione e difendere i valori di cui andiamo fieri, politici senza palle. Il Dalai Lama (umiliato proprio di recente dal nostro governo) ha ragione: meglio rinascere donna... meglio ancora se in tempo di pace.
AA

giovedì 27 dicembre 2007

È Natale

La giornata uggiosa, umida, bagnata di un natale che si disfa. Operai smantellano Il mercatino, le luci, le tende. Sembrava come un' allucinazione la distesa di piccole tende bianche di fronte al castello, i fari rossi e viola aggiungevano un che di marziano: un accampamento di puffi appena atterrati sulla terra per portare il loro messaggio a tinte blu. Due giorni di famiglie, gluewein caldo, zuccherato e appiccicoso riempie tazze con icone natalizie. Piccoli e alti tavolini sorreggono chi e' venuto per scaldarsi dentro e rendere la giornata meno fredda, meno morta. Il maledetto freddo, il sole che si rifiuta di chiedere un metro quadro a squadroni di nuvole impegnate a far cadere il tedesco comune in una leggera depressiome da carenza di vitamina D. Un solarium, c'e' bisogno di uno, cento, mille solarium piu' che di vino caldiccio come piscio. Sopra le teste di chi beve una coppia di ebrei duri dal freddo come legno su di un piedistallo, vegliano il loro bimbo, lo scaldano nella miseria di una stalla di Israele. Quanto povera possa essere la loro condizione ad occhio sembra di qualche grado piu' fortunata di quella dei "chiusi" qui sotto, impegnati a bere per dimenticare. Due genitori nella felecita' del loro bimbo che presto verra' circonciso come da usanza, ma mai rappresentato tale ai posteri. Forse per vergogna di un glande scoperto ma forse piú per non confondere. Per non instillare dubbi e curiosita' sulla natura del giovane che parla umile ai poveri ed e' un "perfido giudio" come mamma. Non e' bene incuriosire la gente, puo' far tremare i forconi, i fucili e le torce, vacillare la fede; puo' far venire i rimorsi ai guardiani, agli aguzzini, ai boia improvvisamente di fronte alla nudita' del popolo odiato di cui per ironia della sorte o ad opera di un cinico marketing della fede il bimbo fa parte. Due genitori e il frutto del loro amore si stringono, girando su di una piattaforma in legno al suono di un carillon stonato e i loro visi sbiancati dalla censura ecclesiastica ricordano quelli di Sara e Abramo alla vista del loro dolce Isacco, quel figlio oramai non piu' sperato, tanto da chiamarlo Itzchak (egli rise). Un verbo proiettato al futuro "Itzchak", ma nella grammatica toraica il futuro e' usato per raccontare al presente eventi passati. Il passato e il futuro si confondono e non esiste il tempo nella Torah. Il futuro toraico rende tutto eterno, immagini ricorrenti e immutabili attraverso la storia. Isacco e Jeshu nati in modo curioso e legati anche da uno stesso destino, il sacrificio per volere Divino o per poca originalitá... Lascio la piazza, la confusione e i pensieri, mi avvolgo di alberi, della nebbia che sale dal fiume, del silenzio dei miei passi e delle corse del mio cane.

AA

venerdì 21 dicembre 2007

Primi attimi di una nuova vita

Fin da piccolo custodivo un sogno, nato e coltivato tra i libri di James Herriot, il veterinario della campagna Inglese. Sono stato a Bologna a visitare la facoltà di veterinaria e l'aula era angusta, piccola, quasi non riuscivo a sentire il professore che spiegava l'anatomia di questo e quell'animale. Sono stato a Milano e nella confusione tra spintoni e lunghe code, nonchè slogan anti-Israele, sono riuscito a entrare in possesso del piano di studi della facoltà di biologia-veterinaria. Le sensaszioni confuse e una punta di delusione di fronte ad un sistema che aveva poco di organizzato mi fece prendere in considerazione per la prima volta un viaggio in Israele. Lasciai Bolzano e la mia adolescenza a 19 anni. Lasciavo un sogno condiviso con un caro amico e due chitarre. Il Kibbutz fu la prima scheggia di Israele che si infiló sotto la pelle. Le prime immagini che ho colto sono di confusione, di grida, di traffico, di luci arancioni, di stazioni affollate e odori speziati che ti assalgono le narici prima e lo stomaco poi, di molteplici fisionomie: visi conosciuti quelli europei si mescolano a nord-africani, etiopi, russi e le gradazioni intermedie. Ho un bambino etiope stampato nella mente sull'autobus che mi porta a Nord di Tel Aviv. Mi guarda incuriosito attraverso la fessura tra i sedili. Lo fotografai, ora avrà 20 anni. Questo primo impatto è stato come una freccia di cupido affondata in profondità. Mi sono innamorato del multiculturalismo che caratterizza la terra del latte e del miele (una definizione piú sbagliata la Torah non poteva trovare). Le numerose culture che si affollano ad una stazione e discutono in accenti diversi e a volte in lingue diverse la stessa vita, spesso con il comune caratteristico cinismo Israeliano.
Questa realtà culturale mi ha lasciato completamente spiazzato. Venivo da Bolzano, da un paese che è tra Austria e Italia, una regione dove culture diverse si sono incontrate ma hanno preferito rimanere sterilmente separate.
A scuola, alle elementari avevamo i momenti di ricreazione separati noi e i nostri vicini di classe tedeschi. Lo stesso edificio, la stessa scuola ma classi diverse e svaghi diversi. Non c'è possibilità di incontro in una realtà simile. Ho vissuto la convivenza come un sapere che l'altro esiste ma di lui non ho coscienza, mi passa accanto la sua vita e non mi si dá la possibilità di incontrarlo, nessun momento per discutere il patrimonio di un possibile incontro. Nessun dibattito per consocere l'altro per scontrarmi con il suo modo di pensare e di essere. Non ho seminato nulla a Bolzano, nulla che possa essere culturalmente fertile, nulla che possa favorire la creatività. Quando due culture si ignorano vivendo insieme creano il nulla, magari pacifico, ma sempre impotente nulla, culturalmente sterile. Fu uno shock culturale Israele, di sicuro. Uno shock da cui non riuscii più a riprendermi. Venne ovviamente modificato, rimodellato, magari non più il vecchio sionismo assorbito in casa, magari una visione meno utopica di Israele, più realista. Una realtà per essere interessante non può non avere problemi. Ma è la fertilità culturale che entra nel profondo e prende lo stomaco. Il dibattito continuo, il mettere ogni cosa in dubbio, il voler trovare i motivi per poi capire meglio il senso delle cose, tutto questo letto attraverso il prisma delle comunità che rappresentano Israele. Gli ebrei da ogni parte del mondo, ogni parte e la sua visione della vita dal Polacco all'Iracheno con un filo sottile che gli unisce e che per me è simboleggiato dai fillatteri che legano le braccia degli ebrei durante la preghiera del mattino. La stessa fascia di pelle nera, le stesse parole in bocca; il resto è un arcobaleno di suoni e colori e odori. Insieme agli ebrei, gli Arabi cristiani e musulmani (un quinto della popolazione Israeliana), i Beduini, i Drusi e i Cerchessi. La convivenza è stile Israele, chiassosa come ogni modo di vita Mediterraneo, speziata come ogni Suk arabo. No non è piazza delle Erbe, non può esserlo e personalmente sono felice che non lo sia, altrimente perderebbe non solo il fascino ma anche il fuoco che lo alimenta. Questo è Israele e molto di più. Sono giovani, una moltitudine di ragazzi e ragazze, giovani costretti a dare una fetta della propria giovinezza per difendere la propria patria. Giovani che vogliono le stesse cose che vogliono i giovani di tutto il mondo, vivere e divertirsi. Sono giovani belli a cui gli scarponi di cuoio neri fanno venire le vesciche e il poco sonno le occhiaie. Sono giovani che dopo l'esercito partono per consocere il mondo e riprendere fiato da ciò che hanno vissuto e poter piangere la notte, sotto le stelle della Tailandia o del Sud America, l'amico che hanno perso in Libano o in un attentato. Sono tutti i miei compagni di studio e tutti possono raccontare la stessa storia. Tutti odiano la guerra, nessuno ama il fucile, ma è lui che ti può salvare la vita, a volte. Sono i giovani che hanno pianto a migliaia un capo di governo, e a migliaia si stringevano intorno a candele e canzoni. Sono i giovani che vedranno venire la pace (come canta una canzone) e se non loro, i loro figli o i figli dei loro figli.

La speranza è viva come tangene è la morte, di cui conoscono sapore e fattezze.

Israele è anche questo. La realtà che descrivo si diluisce tra un attentato e l'altro, un missile e un altro, un assassinio e un altro. Ed è questa l'ennesima diversa faccia del prisma Israeliano. La guerra. Non è un problema di convivenza, ne di culture diverse. E' uno scontro tra due civiltà e presi in mezzo sono i Palestinesi comuni, gli Israeliani comuni. Uno scontro che vede il fanatismo religioso da una parte e il mondo moderato dall'altra. A questo scontro si aggiungono interessi economici, politici e nazionali degli stati della regione, alcuni dei quali (il più influente oggi l'Iran) non hanno alcun interesse in un armistizio, in uno stato palestinese e nella normalizzazione delle relazioni. Questa realtà così sfaccettata è a volte dura, pesante, pungente ed è anche questo che fa dei momenti di pace momenti speciali, commoventi.
L'insieme porta a vivere in modo intenso quasi sentendo il sapore della vita tra i denti in ogni istante.
AA

giovedì 20 dicembre 2007

Coppa del Mondo 2018 (click and watch)


The 2018 World Cup will be held in Israel&Palestine!
Or so we wish to believe...
(http://goal2018.org/)
In fact, this site is dedicated to making this wish come true. Only a positive, long term vision for this troubled region can make a fundamental change! “We have a dream”, and we're urging you to support us and show the world that we are not the only ones.... Sign up now, and get a seat for the final in our Jerusalem stadium!

lunedì 10 dicembre 2007

Dialoghi

A casa.
Ionatan (7.5 anni): se entra qui lo zio Yariv è talmente alto che tocca il soffitto e lo rompe. Lui è il piu' grande del mondo.

Rachel (3.5 anni): se zio Yariv viene a casa mia e rompe il soffitto, io iniziero' ad avere tanto freddo e mi verrà il raffreddore.

In autobus (otto e trenta del mattino), verso teatrino "i musicanti di Brema", tragitto: 30minuti.
Ionatan: Rachel, quanno riviagno? (quando arriviamo?)
Rachel (guardando avanti e senza scomporsi): Chamesh veChetzi (dall'ebraico "alle 17 e 30")
Ionatan: Ma seeee, harbeeee. (cosa? cosí tanto??)