Riporto qui sotto un pezzo apparso di recente sul passato di E. Biagi. Lo pubblico perché credo nel diritto a conoscere. Ció nonostante sono convinto che il dibattito sul passato di una persona cosí influente nel giornalismo italiano si sia dovuto svolgere ancora quando questa in vita. Non conosco abbastanza gli scritti di Biagi per sapere se abbia mai fatto i conti con il suo passato, con l'immondizia a cui ha partecipato e né sapró mai se in cuor suo Biagi abbia taciuto questo servilismo bacato (se ideologico) e vergognoso (se ipocrita) per interesse o per vergogna.
Aa
Il passato antisemita di Enzo Biagi
"La memoria selettiva di Enzo Biagi"
di Gaspare De Caro e Roberto De Caro
Nell'intervista concessa a Luciano Nigro in occasione dei festeggiamenti per il suo ottantasettesimo compleanno nella natia Pianaccio di Lizzano in Belvedere e pubblicata il 9 agosto scorso sull'edizione bolognese di Repubblica, Enzo Biagi racconta che «Giorgio Pini, cognato di un mio zio che si chiamava come me, incontrò Mussolini alla vigilia del gran consiglio che lo destituì», cioè poco prima del 24 luglio 1943. Nigro chiosa: «Lei in quei giorni scelse i partigiani». Biagi non fa una piega: «E mi trovai con gente di ogni classe...». Non è certo la prima volta che l'illustre giornalista glissa sui particolari, e crediamo sia giusto informare i lettori che non fu affatto «in quei giorni» che «scelse i partigiani», poiché qui le date contano e l'omissione non è innocente.
In virtù della parentela con il cugino Bruno Biagi - potente ras fascista, deputato dal '34, presidente della Commissione industria della Camera dei fasci e dell'Istituto nazionale fascista della previdenza sociale, poi sottosegretario alle Corporazioni -, Enzo Marco (così firmava all'inizio i suoi articoli) scriveva già diciassettenne sull'Avvenire d'Italia e su L'Assalto, «organo della federazione dei fasci di combattimento di Bologna», e in seguito su Il Resto del Carlino, dove divenne professionista nel giugno del '42, quotidiano che per razzismo e fanatismo non era da meno e che fu diretto a partire dal 16 settembre del '43 proprio da Giorgio Pini.
Partecipò anche a Primato, la rivista di Giuseppe Bottai, il ministro delle leggi razziali, che «ha sempre stimato» e nei confronti del quale ha pubblicamente confessato il proprio «dovere di gratitudine» (Enzo Biagi, Ma che tempi, Rizzoli, Milano 1998, p. 43), una di quelle «camicie nere ma teste libere» di cui serba affascinato ricordo (Id., Scusate, dimenticavo, BUR, Milano 1997, p. 12). L'Assalto - «giornale della federazione fascista, dove poi ognuno scriveva quello che voleva» (Id., Ero partito da Bologna piangendo, in Bologna incontri, XIII, 5, maggio 1982, p. 6) - si distinse sin dal luglio del '38 per la violenza della campagna antisemita, condotta settimanalmente sulla pelle degli ebrei bolognesi e non solo - per esempio invocò con urgenza profetica un'«opera di purificazione indispensabile specialmente nelle maggiori città dell'Italia settentrionale e centrale (Roma, dove ci sono ancora troppi ebrei, compresa)» (23 agosto 1941) - e dal giugno del '40 per il «tono forsennatamente fascista e bellicoso» (Nazario Sauro Onofri, I giornali bolognesi nel ventennio fascista, Moderna, Bologna 1972, p. 159).
Sul periodico Biagi si occupava di critica cinematografica e quando venne il suo turno di fornire un diretto contributo al razzismo nazifascista elogiò Süss, l'ebreo, film la cui visione Himmler impose alla Wehrmacht e alle SS in partenza per le campagne di sterminio in Europa Orientale: «un cinema di propaganda. Ma una propaganda che non esclude l'arte - che è posta al servizio dell'idea», scriveva in implicita polemica con il cinema italiano, che non trovava altrettanto valido. E continuava: Süss, l'ebreo «ricorda certe vecchie efficaci e morali produzioni imperniate sul contrasto tra il buono e il cattivo [...], trascina il pubblico all'entusiasmo», l'«ebreo Süss è posto a indicare una mentalità, un sistema e una morale: va oltre il limite del particolare, per assumere il valore di simbolo, per esprimere le caratteristiche inconfutabili di una totalità. Poiché l'opera è umana e razionale incontra l'approvazione: e raggiunge lo scopo: molta gente apprende che cosa è l'ebraismo, e ne capisce i moventi della battaglia che lo combatte» (4 ottobre 1941). Dopo l'8 settembre, i giornali bolognesi passarono sotto il controllo nazista e proseguirono la lotta, compresa quella di sterminio contro le «caratteristiche inconfutabili di una totalità».
Furono, quelli, giorni e mesi decisivi, come sanno gli storici. Biagi rimase al servizio della causa repubblichina fino alla tarda primavera del '44, continuando a svolgere compiti redazionali e a compilare le sue scialbe schedine cinematografiche, cellule staminali delle opere a venire. L'ultimo articolo apparve il 17 giugno su Settimana: Illustrato del «Resto del Carlino», insieme all'intervento, assai più autorevole, di un suo giovane collega, Giovanni Spadolini, che sfoderava una devastante critica del liberalismo, prima di inabissarsi nel refettorio di qualche convento in attesa di risorgere après le déluge liberaldemocratico in altra Repubblica. La caduta di Roma e lo sbarco in Normandia avevano illuminato definitivamente il futuro, e quando giunse, non più aggirabile, la chiamata alle armi nell'esercito di Salò Enzo Marco preferì la montagna, come altri giornalisti, «la categoria che, più di ogni altra, era stata curata, selezionata, vezzeggiata dal regime, oltre che strapagata».
Tornò a Bologna dieci mesi dopo, con indosso una divisa dell'esercito statunitense: sempre à la page, il Biagi. Se riscattò con la sua tardiva conversione quegli «anni di servilismo e di abiezione professionale e morale» (Onofri, op. cit., p. 264), non è dato sapere con certezza. Forse. Ciò che invece è sicuro è che fu complice attivo e non accidentale delle nefandezze del fascismo: poteva scegliere e lo fece. Non era il solo? non è un alibi, come ammonisce Hannah Arendt. Era giovane? Non abbastanza: aveva l'età di Piero Gobetti quando fu bastonato a morte e delle decine di migliaia di connazionali che il regime mandò a uccidere e morire mentre lui si assicurava i dividendi di spettanza. E se l'Asse avesse vinto la guerra, che gli sarebbe successo? Be', questo è facile: Auschwitz o no, avrebbe percorso la sua brillante carriera, come poi ha fatto. All'ombra del potere in fiore.
Pubblicato Settembre 5, 2007 10:52 PM
http://www.carmillaonline.com/archives/2007/09/002364.html
Ringraziamo per la segnalazione l'anonimo post sul Forum di Ghetton:
http://www.ghetton.com/it/forum2/forum.php?action=view&topic=1194607126
=============================================================
Kolòt-Voci - Newsletter di Morasha.it a cura di David Piazza
=============================================================
Che c'é?! (Benigni on Middle East)
-
▼
2007
(32)
-
▼
novembre
(9)
- ESILARANTE! essenziale ascoltare l'audio
- Israel, Jewish? A stupid demand
- OGM, liberi di essere correttamente informati
- Israel, Jewish and democratic?
- Israel, democracy at stake?
- Momenti
- "Enzo Biagi: lo ha fatto per interesse o credo?"
- Storia di una donna di frontiera 01-09-03
- Rav Luzzato, la riforma e l'ebraismo oggi
-
▼
novembre
(9)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento