Sono una donna di frontiera. Nata a Trieste, vissuta per trent'anni a Bolzano, attualmente risiedo in Israele dove spero di vivere la mia vita lasciando una traccia delle mie esperienze.
Bambina, ero a Trieste quando la citta' ritorno' all'Italia e ricordo tutto.
Ricordo le manifestazioni, tutti vestiti di bianco-rosso-verde; ricordo il mio foulard-bandiera che sventolavo per le strade.
Ricordo mio fratello maggiore che andava a manifestare contro gli inglesi.
Ricordo Pierino Addobbati colpito a morte, quasi bambino, dai titini mentre manifestava per l'italianita' di Trieste.
Per anni il suo banco al Liceo Dante Alighieri e' rimasto vuoto, coperto da un mazzo di fiori.
Ricordo gli slavi che urlavano "Trst je' nas", Trieste e' nostra!
La guerriglia per le strade e infine l'arrivo dei Bersaglieri che correvano al suono della loro canzone accolti dalla popolazione in delirio: "W Trieste Italiana! W Trieste italiana".
Che tempi!
Ricordo infine i profughi italiani di Istria e Dalmazia, poveri e senza niente, accolti come fratelli e subito integrati al resto della popolazione.
A Bolzano ho vissuto gli anni della "guerra dei tralicci" e dei Carabinieri uccisi dal tritolo. Una guerra civile tra cittadini dello stesso Stato ma non della stessa Patria.
Ho vissuto la difficile convivenza fra i gruppi linguistici, la discriminazione del gruppo italiano rispetto a quello di lingua tedesca.
Ho visto i bambini delle scuole divisi da reti di protezione (era un muro invisibile ma insormontabile) perche' non giocassero insieme, piccoli italiani e piccoli tedeschi. Dovevano essere solo bambini invece gli uni erano "walsche" e gli altri erano "crucchi".
Conoscere entrambe le lingue e' sempre stato fondamentale in Alto Adige sia per la convivenza che per la vita sociale visto che, tuttora, chiunque cerchi lavoro deve superare un severo esame di bilinguismo.
Pero' per imparare le lingue e il rispetto dell'altro bisogna lasciare che i bambini vivano insieme e giochino insieme e tutto questo era severamente vietato, vietato per legge!
Convinta dell'importanza della convivenza e dell'educazione che, in tal senso, doveva essere data ai bambini, quando mio figlio compi' tre anni lo presi per mano e andai con lui in un bel asilo tedesco vicino a casa con l'intenzione di iscriverlo, fummo ricevuti dalla direttrice che mi chiese subito, sorridendo gentilmente:
"Di che madrelingua siete?"
Risposi: "Io sono italiana, mia madre e' greca, mio padre e' istriano, mia nonna e' mezza greca, mezza polacca e anche un po' spagnola, a casa mia ho sentito parlare molte lingue. Faccia lei".
Naturalmente, per preservare la salute mentale della direttrice, non aggiunsi che oltre a tutti quei difetti eravamo anche ebrei.
Conclusione: Aaron non fu accettato e fu una fortuna perche' non so che vita avrebbe avuto in quel asilo un bambino di dubbia madrelingua e di origini cosi' poco pure.
Lo iscrissi in un comunissimo asilo italiano e diedi subito vita a una protesta perche' la lingua tedesca fosse insegnata a partire dai tre anni.
Insieme ad altri genitori iniziai l'occupazione dell'asilo e assumemmo a nostre spese le maestre di tedesco per i nostri figli. Scandalo cittadino, finimmo sui giornali ma fecemmo scuola e altri seguirono il nostro esempio col risultato che l'anno seguente il tedesco, pur se facoltativo, fu introdotto nella scuola materna. Grande vittoria anche se ormai ero conosciuta un po' dovunque col titolo di "strarompi".
Il disagio degli italiani di Bolzano era palpabile, la discriminazione era molto sentita e rifiutata, a volte con odio e rabbia e altre con la tentata assimilazione di coloro che fingevano di sentirsi tedeschi nella speranza di ottenere lavoro e magari, se andava bene, il diritto di frequentare l'universita' a Innsbruck.
Alla fine delle loro fatiche sbattevano comunque il muso perche' scoprivano che, nonostante i loro giuramenti di fedelta' al popolo tirolese, e, in alcuni casi, le dichiarazioni fasulle al censimento (Sei di madrelingua italiana? NO
sei di madrelingua tedesca? SI), vivere a Innsbruck era semplice e gratuito solo per gli studenti la cui madrelingua tedesca fosse assolutamente certa e il loro sangue puro.
Queste cose in Italia non si sapevano, forse ancora oggi sono sconosciute ai piu' e in Alto Adige-Suedtirol si ricordano ancora i terroristi come eroi combattenti per la liberta', con tanto di parate paramilitari e bandiere biancorosse con l'aquila a due teste.
Tanto per gradire alcuni Shuetzen portano orgogliosamente sul petto medaglie naziste.
Ed ora eccomi qui, in Israele.
Dai Paesi di frontiera al Paese da eliminare.
Israele ha avuto anche i suoi profughi, ebrei arrivati dai paesi arabi, e li ha accolti come fratelli e integrati al resto della popolazione.
Gli arabi hanno avuto anche i loro profughi, arabi-palestinesi usciti da Israele in guerra. Li hanno chiusi in campi recintati e li hanno lasciati marcire nella miseria e nell'odio, scelta rivelatasi lungimirante per mantenere nella regione confusione, guerra e violenza.
I profughi palestinesi sono gli unici al mondo che possono usare il diritto di profugo per ereditarieta': profughi i nonni, i genitori, i nipoti, i bisnipoti fino a chissa' quale generazione. Chi lo decidera'? L'eliminazione di Israele?
Dei 135 milioni di profughi delle guerre degli ultimi 60 anni solo i palestinesi pretendono il diritto assurdo di ritornare alle case d'origine di nonni e bisnonni e ormai scomparse.
Per ottenere quello che vogliono si dedicano al terrorismo. Negli ultimi anni si sono molto raffinati, non avendo niente di meglio da fare perche' mantenuti dall'URNWA, e hanno inventato il terrorismo suicida per coinvolgere nella loro morte vigliacca e crudele il maggior numero di bambini, donne e civili israeliani.
Chissa', se i profughi italiani dell'Istria fossero andati a far saltare autobus a Belgrado forse avrei potuto riavere la casa di Capodistria...sporca di sangue innocente.
I profughi istriani hanno ricevuto dopo 30 anni un po' di soldi. Zitti e mosca.
E zitti sono rimasti e hanno lavorato e si sono creati una vita in Italia o altrove, gente laboriosa e pacifica che oggi va a passare le vacanze al mare, il piu' vicino possibile alla casa perduta.
I profughi palestinesi continuano la loro vita di odio e miseria, continuano a seminare morte e terrore, continuano a urlare che torneranno e ci butteranno a mare.
Quando la Palestina fu divisa in due, una parte, Israele, per gli ebrei e l'altra, la Giordania, per gli arabi, il discorso era chiaro qui come lo era stato in altre parti del mondo dove era avvenuta una divisione e un passaggio di territori e popolazioni da una nazione ad un'altra.
Si, il discorso era chiaro ma nessuno aveva fatto i conti con l'intransigenza araba che non poteva accettare in Medio Oriente una nazione democratica e non islamica e non aveva fatto i conti nemmeno con le simpatie naziste delle nazioni arabe che rifiutavano la creazione di un stato ebraico.
Oggi, dopo 60 anni, i giornalisti buonisti vengono a raccontarci le storielle patetiche delle chiavi delle case che i vecchi palestinesi conservano.
Bene, le conservino, esattamente come io conservo per ricordo le chiavi della casa avita di Capodistria, oggi Slovenia, tanti anni fa Italia.
Cosi' va il mondo, poi e' solo questione di civilta'.
C'e' chi ce l'ha e c'e' chi non ce l'ha.
Deborah Fait
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