E Fassino ricordò: da settori della sinistra pregiudizio ideologico verso israele
Antisemitismo, l'«equivoco» a sinistra
Dalle accuse di Stalin a Trockij all'eterno ritorno del sentimento antisionista
«Genocidio nazista a Gaza», spara il Partito Marxista Leninista intimando «lo scioglimento di Israele e la costituzione di un solo Stato per due popoli». Per carità, guai a prendere sul serio un gruppuscolo infinitamente minoritario che mette Stalin e Mao tra i Maestri: è il ruggito d'una mosca. Ma sarebbe un errore non vedere che nei dintorni di una certa sinistra stanno tornando a galla, sia pure arginati da una specie di pudore, sentimenti «antisionisti» dietro i quali si intravede l'ombra della solita bestia razzista.
Sono segnali, capiamoci: solo segnali. Facili da spacciare come casi isolatissimi all'interno di una reazione corale sobria e saggia. Un paio di bandiere con la stella di David sostituita dalla svastica al corteo di ieri della sinistra extraparlamentare. Un altro paio di bandiere israeliane bruciate nei giorni scorsi. E-mail immonde smistate da internauti «rossi» che incitano a ribellarsi contro «il mostro giudaico-talmudico-sionista che ci domina» e lanciano la parola d'ordine: «Distruggiamo quest'incubo razzista e genocidario infame!». Sventurate dichiarazioni alle agenzie dell'«esule» rifondarolo Marco Ferrando, fondatore del lillipuziano Movimento per il Partito comunista dei lavoratori secondo il quale chi brucia le bandiere israeliane non deve «vergognarsi di nulla» perché brucia «non la bandiera dell'ebraismo, ma la bandiera del sionismo: cioè di uno Stato coloniale nato dal terrore contro il popolo arabo e che si perpetua, da 50 anni, con i metodi del terrore». Frattaglie. Impossibili da spacciare, nemmeno in giornate come queste dominate dalle immagini spaventose di una guerra sconvolgente, per «antisemitismo di sinistra».
Come spiega Amos Luzzatto, a lungo presidente dell'Unione comunità ebraiche italiane e autore del libro «Conta e racconta. Memorie di un ebreo di sinistra», «l'antisemitismo "di sinistra" come atteggiamento innato e necessario di un'idea di sinistra non c'è. Ma certo, dell'antisemitismo esiste anche a sinistra. D'altra parte, se la sinistra appartiene a questa società...». Un paio di anni fa suo figlio, Gadi Luzzatto Voghera, docente di Storia dell'ebraismo a Venezia e certo estraneo alla destra, ha scritto un libro («Antisemitismo a sinistra ») per dimostrare che «sinistra e antisemitismo non sono incompatibili» fin dai tempi in cui il «mito dell'ebreo capitalista, ricco, usuraio» entra «nell'immaginario della sinistra nella seconda metà dell'Ottocento e non ne esce più». Tesi condivisa, ad esempio, da Shalom Lappin, del King's College di Londra, protagonista del «Manifesto di Euston», secondo cui «grandi fette d'una sedicente sinistra fanno causa comune con estremismo, totalitarismo ed antisemitismo». O ancora da chi in Francia, come racconta un'inchiesta di Paolo Rumiz, denuncia il triangolo perverso «fra tre antisemitismi: quello del nazionalismo arabo, quello dell'estrema destra e quello dell'estrema sinistra antimondialista».
Certo, siamo lontani dagli abissi ricostruiti da Riccardo Calimani in «Ebrei e pregiudizio». Dove si racconta, ad esempio, che quando Stalin (che pure favorì la nascita di Israele «prima con aiuti massicci di armi cecoslovacche all'Haganah, l'esercito clandestino ebraico, e poi con il voto all'Onu e il riconoscimento formale del nuovo Stato») scatenò «la sua offensiva con gli oppositori, gli agitatori politici alimentarono l'odio contro Trockij e contro Ztnovev lasciando intendere che non era un caso che entrambi complottassero e fossero ebrei». Alla larga dai paralleli.
C'è però un fastidiosissimo «link» tra gli orrori di ieri e le storture di oggi. Ce lo dice il libro «La confessione» dove Arthur London, un ebreo cecoslovacco, comunista, precipitato nell'incubo dei processi staliniani, ricorda il suo interrogatorio: «Il giudice istruttore mi domanda bruscamente di precisare per ognuno dei nomi che verranno citati nell'interrogatorio se si tratti o meno di un ebreo; ma ogni volta nella sua trascrizione sostituisce la designazione di ebreo con quella di sionista: "Facciamo parte dell'apparato di sicurezza d'una democrazia popolare. La parola giudeo è un'ingiuria. Perciò scriviamo sionista"». Assurdo, si ribella London. Il giudice fa spallucce: «Del resto anche in Urss, l'uso della parola giudeo è proibita». Basta sostituirla e, oplà, ecco l'antisemitismo politicamente corretto. Fatta la tara all'immensa diversità della situazione, è proprio così diverso, oggi, il gioco di un pezzo, minoritario, di sinistra?
Piero Fassino, qualche anno fa, rispose così: «Rappresentare Israele come uno Stato militarista, aggressore o, come qualcuno dice, fascista, è una sciocchezza, come lo è non riconoscere che Israele è una società democratica. Identificare la politica della destra israeliana con Israele tout court è un'operazione che non viene fatta con nessun Paese al mondo». Era, allora, il segretario dei Ds e riconosceva che «ci sono settori della sinistra che hanno parole d'ordine fondate su un pregiudizio ideologico e manicheo verso Israele, che spesso "coprono" il resto» e disse di riconoscersi nella tesi di Adriano Sofri. Il quale, denunciando i ritardi e le ambiguità di «tanta sinistra», aveva tagliato corto: «Non possiamo confidare nell'Europa e tanto meno amarla se non amiamo lo Stato di Israele (in nessun altro caso userei un'espressione come «amare uno Stato») e il suo popolo misto, coraggioso e spaventato. Il suo popolo, non soltanto le minoranze ammirevoli, i pacifisti che fraternizzano con gli arabi di Israele e di Palestina, i riservisti renitenti, le donne che difendono la vita e un'altra idea di coraggio, gli intellettuali che onorano la verità e non la sottomettono a una nazione».
C'è chi dirà: ma li avete visti, oggi, i bambini di Gaza? Immagini che fermano il respiro. Ma proprio per questo, a chi come l'ex deputato rifondarolo Francesco Caruso disse (in momenti diversi) che era «meglio essere uno di Hamas all'italiana, che un Mastella alla palestinese», vale la pena di ricordare quanto spiegò anni fa Giorgio Napolitano. Riconoscendo che «prima che nel Pci, a partire dagli anni 80, si affermasse una posizione politica coerente, se c'era antisemitismo si presentava nelle vesti di antisionismo». Ricordò, il futuro capo dello Stato, che «si protrasse a lungo l'equivoco di una contrapposizione al sionismo: come se questo costituisse un'ideologia reazionaria che nulla aveva a che vedere con la storia del popolo ebraico, e come se fosse l'incarnazione di un disegno di oppressione nei confronti dei palestinesi, un disegno di potenza dello Stato d'Israele». Ecco, possibile che quell'«equivoco» possa protrarsi ancora?
Gian Antonio Stella
18 gennaio 2009
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