Che c'é?! (Benigni on Middle East)

venerdì 13 novembre 2009

Farfalle

Farfalle, bianche, striate come zebre, farfalle volano intorno a me, sudato,
respi....ro profondo, il vento gelido, il sole cocente, brividi, capezzoli
duri. Farfalle che danzano come quelle che mi accompagnavano sul sentiero
quando passavo tra i prati montani, qui volteggiano di sassolino in sassolino,
come ogni sasso fosse ricco di nettare... come se non fosse deserto quello che
ci circonda... ma "cosa fate qui?" sciocco... cosa faccio io qui? le braccia
tese nel maestrale, sentirmi a un passo dal prendere il volo staccando i piedi
dalla roccia, sopra questa splendida landa, nitida nei suoi chiaro scuri, nelle
sue ombre mattiniere e nei colori dei minerali. Farfalle, e' splendido qui.

mercoledì 30 settembre 2009

Il prezzo di un segnale di vita

La lista delle Palestinesi rilasciate per il video dimostrazione che Gilad e' vivo. Tutte hanno scontato almeno 2/3 della pena.

1) Ayat Kisi - Sentenced to one year and eight months for attempted murder. Original release date: November 18, 2009.

2) Rojena Riyad Mohammed Jinajira - Sentenced to three years for conspiracy and attempted murder. Original release date: June 9, 2011.

3) Rimat abu Ayisha - Sentenced to nine months for membership in a banned organization. Original release date: November 13, 2009.

4) Haba Assad Halil Alantasha - Sentenced to three years and four months for attempted murder. Original release date: March 03, 2011.

5) Samud Abdullah Halil - Sentenced to one year and eight months for attacking a soldier and possession of a knife with the intent to cause bodily harm. Original release date: December 15, 2009.

6) Mimouna Javrin - Detained without bail pending trial for attempted murder and possession of a weapon with the intent to cause bodily harm.

7) Jihad Abu-Turki - Sentenced to one year and three months for attempted murder and possession of a weapon with the intent to cause bodily harm. Original release date: May 24, 2011.

8) Barah Malki - Sentenced to eleven months for attempted murder and assault of a police officer in the line of duty. Original release date: November 11, 2009.

9) Lila Mohammed Tzalah al-Buhari - Sentenced to eight years and four months for attempted murder. Original release date: October 31, 2010.

10) Fatima Yunus al-Zak - Held without bail pending trial for charges of undergoing paramilitary training, attempted murder, and possession of a weapon.

11) Nifin Halil Abdallah Dak - sentenced to three and a half years for attempted murder. Original release date: January 01, 2010.

12) Kafah Bahash - Sentenced to a year and a half for assaulting a soldier. Original release date: July 02, 2010.

13) Linan Yusuf Abu Ghulma - Sentenced to six years for attempted murder and carrying a concealed weapon. Original release date: September 08, 2010.

14) Shirin Mohammed Hasan - Sentenced to three years and nine months for attempted murder. Original release date: March 04, 2010.

15) Sana'a Tzalah Hagargah - Sentenced to two years in prison for attempted murder and possession of a weapon. Original release date: August 05, 2010.

16) Sabeena Ziad Mohammed Manal - Sentenced to seven years for membership in a banned organization, conspiracy and attempted murder. Original release date: November 19, 2010.

17) Zahoor Abed Hamdan - Sentenced to eight years for attempted murder. Original release date: May 15, 2011.

18) Hiam Ahmed Yusuf Ba'id - Sentenced to three years and four months for membership in a banned organization. Original release date: May 07, 2010.

19) Nahad Farhat Daghra - Held without bail pending trial for assaulting a soldier and possession of a weapon.

20) Najuah Abed Alghani - Held without bail pending trial for membership in an illegal organization and disturbing the peace

Partecipazione

una parola sempre meno usata, una parola che mi riporta agli anni dell'infanzia, alle manifestazioni a cui partecipavo con la mamma e facevo da porta cartelloni, un periodo dove la liberta' era concepita come partecipazione al sociale, alla vita politica. Ieri sera Diario e il Caimano in una carellata di Moretti sul canale Israeliano mi ha ricordato le canzoni d'infanzia, quelle ascoltate dal mangiadischi... era arancione di plastica arancione... anni '70. Gaber e i Gufi, Jannacci, Cocchi e Renato, Ivan della Mea, Giovanna Marini: grazie.









venerdì 25 settembre 2009

Il discorso di Bibi all'ONU: IS THIS A LIE??

Poco o niente sulla stampa Italiana del discorso di Bibi all'ONU, uno dei piu' pungenti discorsi di un primo ministro Israeliano.

giovedì 24 settembre 2009

Necrologie e ricordi, Settembre 2009

Patrick Swayze e' morto, il protagonista del film su cui non solo le ragazzine dellla mia generazione hanno sognato. Anche io. No non Patrick! Forse 15enne vidi il film al Cinema e poi di nuovo in televisione, la sensualita' nelle scene dei balli, i festini, l'iniziazione all'erotismo erano l'espressione del mio crescere da tredicenne goffo e sovrappeso a 15-16enne sempre goffo ma piacente. Erano gli anni del "smettila di guardarti allo specchio! io ti ho fatto e io ti disfo!", di una mamma radicale e femminista che cercava con impegno di distogliermi dalle frivolezze dell'eta' carica di ormoni, dalla vicinanza a due "sorelle" travolte dallo stile e la filosofia di Bravo (www.bravo.de), dal gel nei capelli, e dalle canzonette del pop dell'epoca (di cui ho fatto recentemente scorta a Berlino, in Germania, dove alcune delle maggiori stazioni radio e la moda nel vestiario si sono bloccate ai mitici '80). Ricordo i tabu' distrutti da Dirty Dancing che nella mia memoria di adolescente in crescita hanno un filo diretto a 9 settimane e mezzo (film che ,da ragazzino vergognoso ma ormonalmente attivo, ho visto al cinema solo, in mezzo ad una sala piena cn persone in piedi e un silenzio tragico dove veniva male allo stomaco a schiarirsi la gola). Insomma un saluto a Patrick che guardavo con invidia, rispetto, ma che in parte odiavo per rubarmi le coetanee interessate ai maggiorenni, agli esperti, come tra l'altro succedeva nella "compagnia".
Meno noto al grande pubblico, e' morto di recente Norman Borlaug. Chi era? gia', ne' un attore e neanche un cantante o ballerino o politico o ex-terrorista, ma cmq premio Nobel per la pace. Fonte personale di orgoglio per la mia professione, spesso sotto attacco da facili demagogie e infondate paure. Ha contribuito a rivoluzionare l'agricoltura durante gli anni '60 e ad alleviare la fame nel mondo. Tra le varie applicazioni forse la piu' importante fu quella di sviluppare un frumento che non perdesse i chicchi con la maturazione, appesantiti dall'introduzione dei fertilizzanti. Grazie Borlaug http://en.wikipedia.org/wiki/Norman_Borlaug

domenica 5 luglio 2009

Tra sculture e vino, Daniel e il deserto roccioso

Da Life in the desert
Da Life in the desert

Nel deserto a colorare .... salmoni

L'articolo che segue ricalca un altro, piu' ampio, apparso ne Il Giornale del 02 Luglio 2009.

BOLZANO. Aaron Fait, 37 anni, dopo aver terminato il liceo Torricelli a Bolzano, ha fatto un bel po’ di strada. Lavora al College Ben Gurion, a Sde Boker, nell’«antideserto» israeliano. Si occupa di biotecnologie e agraria delle zone aride. Oltre a creare orti nel deserto, estrae dalle alghe una sostanza colorante, che rende rosa i pesci allevati nel deserto. Rosa come i salmoni norvegesi. Fait, per inseguire il suo sogno impossibile nel deserto mediorientale, ha lasciato un prestigioso incarico al Max Plank Institut di Berlino. Ora lavora al College Ben Gurion, nell’esatto baricentro desertico di Israele, pochi chilometri a sud del kibbutz Sde Boker, dove il padre della patria Ben Gurion risiedeva quando non faceva il primo ministro a Gerusalemme. Per darsi alle ricerche nel deserto, assieme a moglie e tre figli ha risposto, come un centinaio di giovani ricercatori e scienziati, a due richiami che altrove difficilmente esistono: quello avventuroso e pionieristico della frontiera e quello forse meno romantico ma non meno avventuroso e pionieristico della scienza. Fait oggi lavora nel dipartimento di biotecnologie e agraria delle zone aride. Si occupa, fra le molte altre cose, dell’estrazione di una sostanza, la Astaxanthin, dalle alghe che appartengono alla famiglia dei carotenoidi. Una specie di pozione magica, capace di dipingere la vita: un antiossidante che colora di rosso il pomodoro e di rosa la carne dei salmoni allevati in vasche. Insomma, li trasforma in salmoni dello stesso identico colore dei più pregiati al mondo, quelli norvegesi. Ma oltre a produrre pesciolini colorati - che già vengono venduti con successo «in città» - nell’antideserto Fait studia come sfruttare l’olio che le microalghe producono come “biofuel”. Alcune sono capaci di accumulare fino al 60 percento della loro biomassa, offrendo quella che il ricercatore bolzanino definisce «l’unica soluzione, nel campo del biodiesel, capace di liberare l’umanità dal fatidico triangolo acqua-cibo-energia». Secondo Fait, il deserto non dovrebbe insomma far pensare al luogo di punizione delle anime, ma a quello di speranza per l’umanità. I ricercatori del Ben Gurion si occupano infatti di studiare le strategie molecolari e fisiologiche delle piante desertiche, per poterne isolare i componenti e poter ottenere piante resistenti a un’irrigazione limitata o di acqua riciclata. Dunque, si lavora per creare piante capaci di vivere nel deserto quasi come nel giardino di casa. Piante che si accontentano di nulla, ma che danno tutto: il deserto trasformato in serra fruttuosa e fiorita. Insomma, dove oltre ai salmoni rosa, c’è anche il vino rosso.

lunedì 8 giugno 2009

Mentre in Libano i moderati lottano per la liberta', in Francia i moderati -per paura- occultano le prove dell'odio

Se questo è un ebreo

“Se questo è un ebreo”. Il caso del Daniel Pearl francese. Al processo contro gli islamisti che hanno torturato e giustiziato Halimi s’è alzato un grido: “Allah vincerà”

di Giulio Meotti

Roma. “Se questo è un ebreo”, recita il titolo del bellissimo pamphlet di Adrien Barrot. La Francia ha scoperto il sorriso contagioso di Ilan Halimi soltanto dopo la sua morte. Un sorriso che nulla sembra dire di quell’odio e di quella ferocia durata tre settimane nelle mani di una gang di islamisti delle banlieue parigine. “Giovani per i quali gli ebrei sono inevitabilmente ricchi”, ha detto Ruth Halimi degli assassini di suo figlio. La madre di Ilan ha pubblicato il diario di quei “24 giorni” (Seuil edizioni). Ieri Ruth è andata in tribunale a guardare la gang musulmana, in un processo che genera angoscia e scandalo in Francia per come il caso è stato trattato fin dall’inizio, da quel tragico febbraio di tre anni fa. “Quando li osservo, non vedo odio, ma una tristezza immensa”, dice il padre, Didier Halimi. Ruth ripete che l’uccisione di suo figlio è “senza precedenti dalla Shoah”. Youssouf Fofana, il capo “dei barbari”, è entrato in aula con il sorriso, ha alzato un pugno verso l’alto e gridato: “Allah vincerà”. Testa rasata e maglietta bianca, Fofana alla domanda sulla sua data di nascita ha risposto: “Il 13 febbraio 2006 a Sainte-Geneviève-des-Bois”. E’ il giorno in cui il corpo di Ilan è stato trovato, nudo e straziato. Quando gli viene chiesto il nome, Fofana risponde: “Africana barbara armata rivolta salafista”. La Francia non ha ancora fatto i conti con questo feroce antisemitismo islamico, che germina all’interno delle sue folte comunità musulmane. Sei anni fa, Sebastien Selam, un dj di Parigi di 23 anni, uscito dall’appartamento dei genitori per andare al lavoro, venne aggredito nel garage del parcheggio dal vicino musulmano Adel, che gli ha tagliato la gola due volte, quasi decapitandolo, gli ha squarciato il volto e gli ha cavato gli occhi. Adel è corso sulle scale del condominio, grondando sangue e urlando: “Ho ucciso il mio ebreo. Andrò in paradiso”. Nella stessa città, in quella stessa sera, un’altra donna ebrea veniva assassinata, in presenza della figlia, da un altro musulmano. Erano i prodromi di una “tendenza” e i mezzi di comunicazione amano le tendenze. Eppure, nessuna delle principali testate francesi riportò il fatto. Lo zio di Ilan racconta che durante le telefonate per il riscatto alla famiglia venivano fatte sentire le urla del ragazzo ebreo bruciato sulla pelle, mentre “i suoi torturatori leggevano ad alta voce versi del Corano”. I rapitori pensavano che tutti gli ebrei fossero ricchi e che la famiglia di Halimi avrebbe pagato il riscatto. Non sapevano che la madre era una centralinista. E che Ilan, per campare alla meglio, lavorava in un negozio di telefoni cellulari. Fu trovato agonizzante, il corpo bruciato all’ottanta per cento, vicino alla stazione di Saint-Geneviève-des-Bois. Seminudo, con ferite e bruciature di sigarette ovunque sulla carne viva e in tutto il corpo, Ilan è morto nell’ambulanza verso l’ospedale. Ruth nel suo libro denuncia che, per non urtare la sensibilità della comunità musulmana delle periferie, il caso venne fin dall’inizio tenuto su un registro basso, la polizia negava l’intento religioso del sequestro e l’identità islamica di tutti i rapitori; la stessa polizia che chiese alla famiglia di non farsi pubblicità e che fece poco, molto poco, per scardinare la rete di famiglie che proteggeva la gang. Decine di persone sapevano delle torture inflitte per tre settimane a quel ragazzo ebreo che sognava di vivere in Israele. Nidra Poller sul Wall Street Journal scrive che “ciò che più disturba in questa storia è il coinvolgimento di parenti e vicini, al di là del circolo della gang, a cui fu detto dell’ostaggio ebreo e che si precipitarono a partecipare alla tortura”. Divenne tutto più chiaro quando l’allora ministro dell’Interno Nicolas Sarkozy annunciò che a casa del rapitore erano stati trovati scritti di Hamas e del Palestinian Charity Committee. Intanto la magistratura francese ha ritirato le copie del magazine “Choc” che ha appena pubblicato la fotografia di Halimi in ostaggio, giudicandola “offensiva”. Si vede Ilan imbavagliato, con una pistola alle tempie e una copia di un giornale. La stessa, identica posa d’una famigerata fotografia di sette anni fa con Daniel Pearl, il corrispondente ebreo del Wall Street Journal decapitato da al Qaida in Pakistan. Il New York Times scrive che “in due settimane e mezzo di processo poco è filtrato sul procedimento”. Si svolge a porte chiuse. Quel che è emerso è senz’altro il tentativo del governo francese di occultare l’odio islamico contro gli ebrei come movente della esecuzione di Halimi. Si è parlato poi della stanza in cui venne tenuto Halimi come di un “campo di concentramento fatto in casa”. Il reporter francese Guy Millière scrive che “le grida venivano sentite dai vicini perché erano particolarmente atroci: gli assassini sfregiarono la carne del giovane uomo, gli spezzarono le dita, lo bruciarono con l’acido e alla fine gli hanno dato fuoco con del liquido infiammabile”. La madre di Ilan aggiunge che durante una delle telefonate alla famiglia i sequestratori trasmisero un nastro: “Sono Ilan, Ilan Halimi. Sono figlio di Didier Halimi e di Ruth Halimi. Sono ebreo. E sono tenuto in ostaggio”. “Come si fa a non pensare a Daniel Pearl?”, domanda Ruth. Adrien Barrot, filosofo all’Università di Parigi, ha scritto per le edizioni Michalon uno straordinario libro sul significato dell’uccisione di Halimi. “Non è stato facile fare il verso a Primo Levi”, dice al Foglio a proposito del titolo del suo saggio, “Se questo è un ebreo”. “Si fatica oggi a capire la crescita enorme dell’antisemitismo in Francia dopo l’11 settembre. Io stesso sono di sinistra e per molto tempo faticavo a realizzare questo antisemitismo nuovo che si nutre della cultura antirazzista. Non possiamo criticare gli immigrati musulmani, così finiamo per accusare di razzismo gli stessi ebrei. Dicono che c’è antisemitismo, ma che la colpa è soltanto del sionismo. Lo sentiamo ripetere ogni giorno. L’affaire Halimi significa che il tabù è caduto e l’antisemitismo si sta diffondendo ovunque in Francia”. Barrot critica la visione pedagogica dell’antisemitismo. “E’ troppo astratta, fondata su un’immagine stereotipata. Siamo resi incapaci di identificare ciò che il crimine ‘dei barbari’ ci mette sotto gli occhi, la cellula germinativa dell’orrore che la nostra ‘memoria’ non cessa ritualmente di esorcizzare. Ilan non portava un lungo caffettano nero, un cappello di feltro, le frange rituali, non portava neppure la kippà. Ilan Halimi portava soltanto il suo nome e fu sufficiente a fare di lui una preda. E’ allora che ho compreso che ormai era ridiventato difficile essere ebreo in questo paese”. La retorica pseudoeducativa sull’antisemitismo è incapace di penetrare l’odio che l’islamismo predica contro gli ebrei. “La memoria dell’antisemitismo è evocata per impedire, proibire, riconoscere la realtà attuale, di chiamare le cose con il loro nome. Eccesso, abuso, dittatura della memoria? Memoria inutile? Memoria vuota piuttosto, che ha immesso nella coscienza pubblica soltanto una nozione completamente astratta. Come se i soli buoni ebrei, gli ebrei degni di essere difesi, fossero gli ebrei morti, trasportati in una sfera astratta e pura, non contaminata da tutto ciò che, nella vita, li espone all’odio. C’è una relazione sinistra tra la morte atroce di Ilan Halimi e l’assenza di mobilitazione massiccia che l’ha seguita. La nostra vigilanza veglia sugli ebrei morti ed espone i vivi alla violenza”. Al processo, i carcerieri di Ilan hanno raccontato che la prima settimana del sequestro Halimi l’ha trascorsa in un appartamento prestato ai rapitori da un concierge. Youssouf Fofana ha pensato a decorarlo di tele “con motivi arancione per coprire i muri”. Ammanettato, con addosso soltanto una vestaglia comprata all’Auchan, alimentato con proteine liquide attraverso una cannuccia, Ilan passò così molti giorni. Per entrare nell’appartamento ci voleva un codice: bussare due volte e poi ancora una. Poi Fofana si è caricato Ilan in spalla e l’ha portato nella caldaia: “Pisciava in una bottiglia e faceva la cacca in una busta di plastica”, racconta uno dei carcerieri, Yahia. Le botte sono iniziate dopo che è fallito il primo tentativo di riscatto. Ma gli episodi più significativi sono avvenuti quando si è trattato di scattare le foto destinate a spaventare la famiglia della vittima, compresa la simulazione di una sodomia con il manico della scopa e uno sfregio alla faccia fatto con il coltello di un imputato, Samir Ait Abdelmalek. Il giorno in cui venne giustiziato, racconta Fabrice, “gli ho tagliato i capelli, Zigo e Nabil (altri due carcerieri, ndr) hanno detto che non erano abbastanza corti e l’hanno rasato con un rasoio a due lame”. Gli hanno tagliato anche i peli del corpo. Per non lasciare alcuna traccia nel covo. Ilan venne asciugato e avvolto in un telo viola, comprato al supermercato all’angolo. Fofana è arrivato nel profondo della notte. Quando Ilan è riuscito a guardarlo in faccia, l’islamista lo ha colpito con un coltello alla gola, alla carotide, poi un altro affondo. Poi gli ha dato un taglio alla base del collo, e al fianco. E’ tornato con una tanica di benzina, gli ha versato il combustibile e gli ha dato fuoco. Finiva così la vita di un ragazzo di 23 anni nel primo paese nella storia ad aver dato agli ebrei diritti civili. Ieri, in tribunale, Ruth ripeteva: “Chiedo ogni giorno a mio figlio di perdonarmi”.

di Giulio Meotti

martedì 2 giugno 2009

Ruth oggi verrebbe rifiutata

The Jerusalem Post Internet Edition
In praise of conversion
Jun. 1, 2009
REUVEN HAMMER , THE JERUSALEM POST
The Book of Ruth, which we have just read on Shavuot, is often considered to be the story of the first convert to Judaism. Although the book itself contains no description of a formal conversion such as we practice today, there is no doubt that Ruth takes the step of joining herself both to the people of Israel and to the religion of Israel when she says, "Your people will be my people, your God will be my God" (Ruth 1:16). Throughout the book Ruth is praised for her acts of hessed - her loyalty and compassion as expressed in her help to Naomi and her desire to continue the family line (Ruth 3:10). As the ancestress of David and therefore of the entire line of Davidic kings that later tradition said would lead to the messiah, she is worthy of praise and plays a central role in Judaism, only slightly less than that of the matriarchs themselves. It is very likely that one of the reasons for the writing of the book was to trace the ancestry of David. The fact that it proudly presents this woman who came from a different people but joined ours - a convert - as David's great-grandmother demonstrates a positive attitude toward such an act. Yet Ruth the Moabitess would have a difficult time acquiring the right to make aliya today and to attain Israeli citizenship. In fact her chances would be close to zero. We can imagine Ruth applying to the Interior Ministry where she would be met with a series of questions reflecting the ministry's current proposals for conversion requirements: Please show us your conversion certificate. What rabbinical court issued it? What Jewish community does it represent? No beit din? So who converted you? Where did you study and what? Was the program a year long and did it consist of at least 360 hours? No course at all? You said something about "your people, my people, your God, my God" and that was it? What is this, a joke? Did you remain in the Moab Jewish community for a year afterward? No? You say you had a Jewish husband - OK - but he's dead so that does not give you any rights. No, mothers-in-law don't count. Look, it's pretty obvious that you're simply one of those foreign workers looking for a job in agriculture that pays better than what you could earn in Moab. That's exactly what we're afraid of. Back to Moab with you. SO MUCH for David and the messiah! Obviously at the time of the writing of the Book of Ruth, conversion as we know it did not exist - although later interpretations sought to read it into the book. See, for example, Yevamot 47b. The Torah envisions non-Israelites living in the land and after a period of generations some of them could become part of "the community of the Lord" (see Deuteronomy 23:4). The Book of Ruth seems to posit this happening immediately when the person actively desires it. During and after the Second Temple period Jewish law gradually created conversion as we know it, with a formal ceremony before a court. But even the requirements of Jewish law in that regard are hardly those of the Interior Ministry or the Chief Rabbinate. The basic requirements are that the candidate be taught some of the laws, declare acceptance of the mitzvot and of God's sovereignty, undergo immersion and, for males, circumcision (see Yevamot 47:a-b, Shulhan Aruch, Yoreh Deah 268; Maimonides, Issurei Biah 13). There is no provision for retroactively canceling the conversion if later they are found not to be observing each and every one of the mitzvot. Then they become like the rest of us - Jews who transgress but remain Jews (Maimonides ibid 13:17). Numerous studies have shown without any question whatsoever that the rules of conversion that traditional Jewish law has codified are in truth quite lenient. WHY THEN do we find it so difficult to accept converts today - particularly in Israel? Why are we so stringent? What is our problem? The most well known rabbinic stories of converts are those concerning people who came first to Shammai with unreasonable requests - such as not having to learn the Oral Torah, learning the whole Torah on one foot or becoming high priest. Shammai angrily rejected them. They then turned to Hillel who patiently taught them and accepted them. These converts then said, "Shammai's impatience sought to drive us from the world, but Hillel's gentleness brought us under the wings of the Divine Presence" (Shabbat 31a.). Why is it that so many rabbinic authorities today seem intent on imitating Shammai when it is obvious that the tradition is lauding the actions of Hillel? Although conversion was quite common in the Second Temple period - Judaism was, after all, the only non-pagan, monotheistic religion - it virtually ceased when Christianity became dominant and would not permit Judaizing. In the modern period, when religion and state in the Western world were separated, conversion to Judaism became possible again but many religious authorities frowned on it. They felt that it was basically a way to bring gentile wives into Judaism and in many places, such as South America, they banned conversion altogether. They may have hoped to thus discourage intermarriage, but in reality the only result was that the children of these marriages were not brought up as Jews and whole generations were lost to Judaism. ONE WOULD have thought that in Israel the attitude would be different. And indeed under such chief rabbis as Benzion Uziel, the Sefardi chief rabbi who died in 1953, such reasonable conversions had taken place. When Jews from Eastern Europe and the USSR first began to emerge and were brought to camps in Austria, rapid but proper conversions took place there quietly. The spirit of Hillel seemed to have risen again. Those days are long gone. Under the influence of an ever increasingly haredi rabbinate here and with pressure from haredi rabbinical groups in Europe, conversions have become more and more difficult in Israel. Furthermore the Chief Rabbinate has attempted with some success to control Orthodox conversions in America as well and to impose its stringent standards there. The fact that Israeli citizenship may be determined by conversion brings the state into the picture in ways that are otherwise inappropriate. Conversion is a religious matter. Here it has become a political matter. THE INTERIOR MINISTRY has sometimes been even more stringent than the rabbinate. It has done its best to ignore or negate rulings by the Supreme Court regarding the acceptance of converts from non-Orthodox rabbinical courts, attempting to impose regulations that have no sanction in law. It has imposed draconian rules on many an Orthodox conversion as well. There may be legitimate concerns about people who would like to attain citizenship through conversion for reasons that are less than pure, mainly economic, but there is absolutely no proof that any recognized conversion courts here or abroad have fallen prey to this. There is a paranoia here that exceeds rational bounds. We are now a small people, much smaller than we ought to be. The well known demographer Sergio Della Pergola recently wrote that were it not for the Holocaust we would today be 36 million strong. That would still be small but better than what we have. Why should we be so reluctant to have others join us? We are also a small country, suffering from a demographic problem. Why would it not be better for Israel if the 300,000 non-Jewish Russians - or even half of them - were to join the Jewish people? Would it not be better for us for sincere converts to make aliya and join in strengthening our nation? We are allowing a combination of bureaucratic incompetence, unjustified paranoia, overly and unnecessarily strict application of halachic norms and Diaspora-originated fear of the non-Jew to result in counterproductive conduct. We are, in short, cutting off our noses to spite our faces. MY OWN INVOLVEMENT with candidates for conversion both in this country and elsewhere has been overwhelmingly positive. With few exceptions, those with whom I have been in contact have been sincere in their desire to become part of Judaism and of the people of Israel and join our destiny. I have seen many who have Jewish ancestry and wish to reclaim it. I consider it to be a true mitzva to bring to Judaism someone whose ancestors, either immediate or in the distant past, were lost to Judaism. There are others who suddenly discovered Judaism and sincerely desire to be part of it. There are those from the former Soviet Union who live here and want to be part of the Jewish people. Should we discourage them or should we be willing to answer their call? It is regrettable that conversion, which has played an important role in Judaism, should today be such a matter of controversy. After all, fancifully and anachronistically our tradition has even read conversion much further back than Ruth in our history. It asserts that Abraham and Sarah led conversion classes. He taught the men, she the women. (Genesis Rabba 39:5).
Furthermore in a very real sense we and our ancient ancestors were the first converts when we stood at Sinai - at Shavuot - and accepted upon ourselves the yoke of God's sovereignty and the yoke of the commandments, pledging to become God's holy people. Maimonides even insists that the people went through both circumcision and immersion before entering that covenant and that this set the pattern for all future converts (Issurei Biah 13:1-4). So in a profound sense we are all converts - or the descendants of converts. As such we should welcome those who wish to follow in our ways. It is time to let the spirit of Hillel reign once again.

lunedì 1 giugno 2009

The Clown’s Mask Slips (The Times)


Berlusconi must answer allegations of womanising and questions about inappropriate behaviour. The quality of government is a not a private matter

The most distasteful aspect of Silvio Berlusconi’s behaviour is not that he is a chauvinist buffoon. Nor is it that he cavorts with women more than 50 years younger than himself, abusing his position to offer them jobs as models, personal assistants or even, absurdly, candidates for the European Parliament. What is most shocking is the utter contempt with which he treats the Italian public.

The ageing Lothario may find it amusing, or even perhaps daring, to act the playboy, boasting of his conquests, humiliating his wife and making comments that to many women are grotesquely inappropriate. He is not the first or the only one whose undignified behaviour is inappropriate to his office. But when legitimate questions are asked about relationships that touch on the scandalous and newspapers challenge him to explain associations that, at best, are puzzling, the clown’s mask slips. He threatens those newspapers and televisions stations that he controls, invokes the law to protect his “privacy”, issues evasive and contradictory statements and then melodramatically promises to resign if he is caught lying.

Mr Berlusconi’s private life is, of course, private. But as President Clinton found, scandal does not become high office. To his critics, Mr Berlusconi retorts that he still commands high popularity ratings, is very much in control of his Government and will not be intimidated by what he calls opposition attempts to smear him. Many may also say that Italy is not America: that the puritan ethic framing standards in the US has never dominated Italian public life, and that few Italians are shocked by womanising. This is patronising nonsense. Italians understand just as well as Americans what is and what is not acceptable. And like Americans, they regard a cover-up as contemptible.

Few media outlets in Italy are able to make this point without fear of retribution. But to its credit La Repubblica has continually raised questions about the Prime Minister’s relationship with the 18-year-old Noemi Letizia, whose birthday gift of a necklace was the pretext for Mrs Berlusconi’s divorce action. To most of these questions, on the lips of every bemused Italian voter, there has been no satisfactory answer. When and how did he meet her family? Did Mr Berlusconi ask for photographs from a model agency and initiate contact with Ms Letizia? What truth is there in reports that dozens of young women were invited to parties at his Sardinian villa?

Mr Berlusconi has promised to explain everything to parliament. But he can hardly have reassured his critics with his weekend injunction blocking publication of about 700 photographs purporting to show what went on at these parties. Nor is he helped by his hapless Foreign Minister, who attempted to defend his boss by pointing out that the age of consent in Italy was 14 — as if this were relevant.

Does it all matter? Some Italians will say no. Others will say it is no business of outsiders. But Italian voters, in the run-up to the European elections, ought to reflect on how their Government is run, on the candidates thought suitable for Strasbourg and on the level of prime ministerial candour during political and economic turmoil.

It concerns others too. Italy hosts the G8 meeting this year. Important discussions are taking place in that forum, where Western governments are pressing for greater co-operation in combating terrorism and international crime. Mr Berlusconi sees himself as a friend of Vladimir Putin. His country is an important member of Nato. It is also part of the eurozone, which is being tested by the global financial crisis. It is not only Italian voters who wonder what is going on. So do Italy’s nonplussed allies.

martedì 21 aprile 2009

Shoah


It is today, a day of mourning, a day to remember our people killed just for being jews. A day to remember the sacrifice of Europe to fight against the Evil. More than 30 million individuals each of them with a name a history a past a present and no future, beside in our aging memory. 
The silence of today, is broken by the deep voices of sirens sounding throughout Israel. It gets to your stomach, to the lungs, to the brain and it reminds you of that name, that face, those eyes filled with shock and terror, seen in pictures in museums, children you try to give a name to; your family.  
Your thoughts are disturbed only by the idiocy of those who for their political interests pursue a policy of hatred and denial of what happened, so that they can continue to perpetrate their crime against their population, against the freedom of religion, against sexual freedom, against freedom of conscience, against peace, against the moderates and the stability of the region.
Never again.

martedì 10 febbraio 2009

Israel today

Today Israel has two choices, toward a moderate tolerant society struggling for peace with its neighbors and within, or toward a racist security-drugged state struggling for inside ethnic cleansing and wary on the outside.

sabato 31 gennaio 2009

A just and criminal war

By Yirmiyahu Yovel
Professori emeritus of the Hebrew University, teaches at the New School for Social Research and won the Israel Prize in Philosophy.
Tags: Hamas, Israel news, Gaza

Since the early 1980s Israel has been fighting enemies without uniforms. An entire generation of soldiers has been born into a situation in which the enemy is interwoven into the civilian population. As a result, restrictions were put on the army's actions. But many restraints have been loosened time and again with the justification of one operational necessity or another until, in the war in the Gaza Strip, the fetters were removed in an almost unprecedented way.

In the name of a justified goal, Israel rained down fire and destruction on a closed ghetto with one of the highest population densities in the world. For three weeks, parents and children were crowded into unprotected apartments or fled from one school to another, from one hospital to the next; but they had no refuge from the bombs of the best air force in the world, or the shells of ground forces that sacrificed scores, even hundreds of these people in order to minimize the risk to its own soldiers, and to strike at terrorist fighters, who should justly be hit, but not at any price.

About 1,300 people were killed, mostly non-combattants, including hundreds of children. Entire families were destroyed, thousands were injured and some 60,000 homeless people are now scrabbling among the ruins of Gaza to gather remnants of their possessions.
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This is a tragic scene, which the citizens of Israel have barely seen on their television screens - and the little they saw they are trying to blur or repress at this moment of supposed "victory," which is nothing but a cease-fire. But the tragedy is not only Gaza's: It is also a tragedy for Israel. The impoverished prisoners of the Strip are trapped by two systems of occupation that oppress them: by the Israeli power that knowingly has operated with little restraint (following a "landlord went crazy" policy, as this was dubbed), and by a fanatical religious organization that is blind to reality and prepared to fight "the Zionist entity" and its inhabitants down to the last Gazan child.

The last time the Israel Defense Forces fought regular armies as such was in 1973 - before today's battalion and brigade commanders were even born. Since then the conflict has deteriorated into a war between two peoples, two civilian populations. Hence, the throbbing hatred this war has generated, as have the acts of injustice and criminality it entails. From Israel's perspective, it is now caught in a trap that prevents it from acting, even in cases of justified defense, without committing humanitarian crimes, some of which are war crimes.

There are Israelis prepared to pay such a high moral price, either consciously or while repressing it. As can be gathered from the reactions today, many people are ready to accept the paradox inherent in the term "a just and criminal war," and to live with it while blurring its significance. Presumably most of those who are prepared to do this console themselves with the thought that this is a temporary situation, not a permanent feature that defines the mode of existence of the society and state to which they belong.

But is that true? The Gaza war dramatically demonstrated that the conjunction of justified combat and war crimes is not an individual instance of this war or that, rather it is becoming a permanent model for the struggle between Israelis and Palestinians. As long as this is a struggle between two populations, occupier and occupied, and as long as there is no peace between Israel and an independent Palestinian state existing beside it, the Israeli soul will be divided between justice and crime, holding onto each other with no way out, like two Siamese twins

The more we become insensitive to the full implications of our acts, the more will a sense of revulsion, regret, and the loss of the significance of Israel as a just state prevail beneath the surface - and not only in the eyes of the outside world, which in time might condemn Israel as an evil state, but also in the eyes of many of the Israel's own Jewish citizens.

If this combination evolves into a permanent psychological and social pattern in Israel, it might portray Israel as an international pariah and spur severe domestic alienation among many of its inhabitants, those who today confine themselves to shame and silence, or conceal their faces from others and themselves. Such an outcome will be far more dangerous for the state's existence than terror.

Therefore, anyone who holds with the doctrine of "the sword shall devour forever" (2 Samuel 2:26) must take into account that in the existing circumstances of occupation, this is a double-edged sword.

The way to overcome this is to create conditions for peace with the Palestinians. Toward this end, Israel should mobilize all of its resources, and its supporters abroad, in order to strengthen Palestinian society and the capability of its leaders to rehabilitate its people, and to carry out effective governance.

Building the Palestinian economy and government is a vital advance payment on peace, and therefore an Israeli interest of the first order.

Prof. Yirmiyahu Yovel, emeritus of the Hebrew University, teaches at the New School for Social Research and won the Israel Prize in Philosophy.

domenica 25 gennaio 2009

Vorrei essere libero (Liberta' G.Gaber)



Come un uomo appena nato
che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco
con la gioia di inseguire un’avventura.
Sempre libero e vitale
fa l’amore come fosse un animale
incosciente come un uomo
compiaciuto della propria libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare
ha trovato la sua nuova libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche avere un’opinione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto
che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura
con la forza incontrastata della scienza
con addosso l’entusiasmo
di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero
sia la sola libertà.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche un gesto o un’invenzione
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione

lunedì 19 gennaio 2009

Come la sinistra Italiana e' incapace di avviare un discorso costruttivo sul Medio Oriente, alienata da idee imbalsamate che puzzano di stantio

E Fassino ricordò: da settori della sinistra pregiudizio ideologico verso israele
Antisemitismo, l'«equivoco» a sinistra
Dalle accuse di Stalin a Trockij all'eterno ritorno del sentimento antisionista

«Genocidio nazista a Gaza», spara il Partito Marxista Leninista intimando «lo scioglimento di Israele e la costituzione di un solo Stato per due popoli». Per carità, guai a prendere sul serio un gruppuscolo infinitamente minoritario che mette Stalin e Mao tra i Maestri: è il ruggito d'una mosca. Ma sarebbe un errore non vedere che nei dintorni di una certa sinistra stanno tornando a galla, sia pure arginati da una specie di pudore, sentimenti «antisionisti» dietro i quali si intravede l'ombra della solita bestia razzista.

Sono segnali, capiamoci: solo segnali. Facili da spacciare come casi isolatissimi all'interno di una reazione corale sobria e saggia. Un paio di bandiere con la stella di David sostituita dalla svastica al corteo di ieri della sinistra extraparlamentare. Un altro paio di bandiere israeliane bruciate nei giorni scorsi. E-mail immonde smistate da internauti «rossi» che incitano a ribellarsi contro «il mostro giudaico-talmudico-sionista che ci domina» e lanciano la parola d'ordine: «Distruggiamo quest'incubo razzista e genocidario infame!». Sventurate dichiarazioni alle agenzie dell'«esule» rifondarolo Marco Ferrando, fondatore del lillipuziano Movimento per il Partito comunista dei lavoratori secondo il quale chi brucia le bandiere israeliane non deve «vergognarsi di nulla» perché brucia «non la bandiera dell'ebraismo, ma la bandiera del sionismo: cioè di uno Stato coloniale nato dal terrore contro il popolo arabo e che si perpetua, da 50 anni, con i metodi del terrore». Frattaglie. Impossibili da spacciare, nemmeno in giornate come queste dominate dalle immagini spaventose di una guerra sconvolgente, per «antisemitismo di sinistra».

Come spiega Amos Luzzatto, a lungo presidente dell'Unione comunità ebraiche italiane e autore del libro «Conta e racconta. Memorie di un ebreo di sinistra», «l'antisemitismo "di sinistra" come atteggiamento innato e necessario di un'idea di sinistra non c'è. Ma certo, dell'antisemitismo esiste anche a sinistra. D'altra parte, se la sinistra appartiene a questa società...». Un paio di anni fa suo figlio, Gadi Luzzatto Voghera, docente di Storia dell'ebraismo a Venezia e certo estraneo alla destra, ha scritto un libro («Antisemitismo a sinistra ») per dimostrare che «sinistra e antisemitismo non sono incompatibili» fin dai tempi in cui il «mito dell'ebreo capitalista, ricco, usuraio» entra «nell'immaginario della sinistra nella seconda metà dell'Ottocento e non ne esce più». Tesi condivisa, ad esempio, da Shalom Lappin, del King's College di Londra, protagonista del «Manifesto di Euston», secondo cui «grandi fette d'una sedicente sinistra fanno causa comune con estremismo, totalitarismo ed antisemitismo». O ancora da chi in Francia, come racconta un'inchiesta di Paolo Rumiz, denuncia il triangolo perverso «fra tre antisemitismi: quello del nazionalismo arabo, quello dell'estrema destra e quello dell'estrema sinistra antimondialista».

Certo, siamo lontani dagli abissi ricostruiti da Riccardo Calimani in «Ebrei e pregiudizio». Dove si racconta, ad esempio, che quando Stalin (che pure favorì la nascita di Israele «prima con aiuti massicci di armi cecoslovacche all'Haganah, l'esercito clandestino ebraico, e poi con il voto all'Onu e il riconoscimento formale del nuovo Stato») scatenò «la sua offensiva con gli oppositori, gli agitatori politici alimentarono l'odio contro Trockij e contro Ztnovev lasciando intendere che non era un caso che entrambi complottassero e fossero ebrei». Alla larga dai paralleli.

C'è però un fastidiosissimo «link» tra gli orrori di ieri e le storture di oggi. Ce lo dice il libro «La confessione» dove Arthur London, un ebreo cecoslovacco, comunista, precipitato nell'incubo dei processi staliniani, ricorda il suo interrogatorio: «Il giudice istruttore mi domanda bruscamente di precisare per ognuno dei nomi che verranno citati nell'interrogatorio se si tratti o meno di un ebreo; ma ogni volta nella sua trascrizione sostituisce la designazione di ebreo con quella di sionista: "Facciamo parte dell'apparato di sicurezza d'una democrazia popolare. La parola giudeo è un'ingiuria. Perciò scriviamo sionista"». Assurdo, si ribella London. Il giudice fa spallucce: «Del resto anche in Urss, l'uso della parola giudeo è proibita». Basta sostituirla e, oplà, ecco l'antisemitismo politicamente corretto. Fatta la tara all'immensa diversità della situazione, è proprio così diverso, oggi, il gioco di un pezzo, minoritario, di sinistra?

Piero Fassino, qualche anno fa, rispose così: «Rappresentare Israele come uno Stato militarista, aggressore o, come qualcuno dice, fascista, è una sciocchezza, come lo è non riconoscere che Israele è una società democratica. Identificare la politica della destra israeliana con Israele tout court è un'operazione che non viene fatta con nessun Paese al mondo». Era, allora, il segretario dei Ds e riconosceva che «ci sono settori della sinistra che hanno parole d'ordine fondate su un pregiudizio ideologico e manicheo verso Israele, che spesso "coprono" il resto» e disse di riconoscersi nella tesi di Adriano Sofri. Il quale, denunciando i ritardi e le ambiguità di «tanta sinistra», aveva tagliato corto: «Non possiamo confidare nell'Europa e tanto meno amarla se non amiamo lo Stato di Israele (in nessun altro caso userei un'espressione come «amare uno Stato») e il suo popolo misto, coraggioso e spaventato. Il suo popolo, non soltanto le minoranze ammirevoli, i pacifisti che fraternizzano con gli arabi di Israele e di Palestina, i riservisti renitenti, le donne che difendono la vita e un'altra idea di coraggio, gli intellettuali che onorano la verità e non la sottomettono a una nazione».

C'è chi dirà: ma li avete visti, oggi, i bambini di Gaza? Immagini che fermano il respiro. Ma proprio per questo, a chi come l'ex deputato rifondarolo Francesco Caruso disse (in momenti diversi) che era «meglio essere uno di Hamas all'italiana, che un Mastella alla palestinese», vale la pena di ricordare quanto spiegò anni fa Giorgio Napolitano. Riconoscendo che «prima che nel Pci, a partire dagli anni 80, si affermasse una posizione politica coerente, se c'era antisemitismo si presentava nelle vesti di antisionismo». Ricordò, il futuro capo dello Stato, che «si protrasse a lungo l'equivoco di una contrapposizione al sionismo: come se questo costituisse un'ideologia reazionaria che nulla aveva a che vedere con la storia del popolo ebraico, e come se fosse l'incarnazione di un disegno di oppressione nei confronti dei palestinesi, un disegno di potenza dello Stato d'Israele». Ecco, possibile che quell'«equivoco» possa protrarsi ancora?

Gian Antonio Stella
18 gennaio 2009

venerdì 16 gennaio 2009

Lettera aperta di A.B. Yehoshua

An open letter to Gideon Levy
By A.B. Yehoshua
Tags: Gideon Levy, Gaza, Hamas

Dear Gideon,

You remember that in recent years I called you occasionally to praise you for your articles and your writing about the wrongs done to the Palestinians in the administered territories, whether by the army or by the settlers. Physical wrongs, land expropriations, acts of abuse, perversions of justice and so on. I told you that it is very difficult to read what you write, because it weighs on our conscience, but that the work you are doing and the voice you are sounding are extremely important. I was also concerned about your physical safety, knowing that you risked your life by visiting such hostile places.

I did not ask you why you did not visit Israeli hospitals in order to tell the painful stories of Israeli citizens who were hurt in terrorist attacks. I accepted your position that there are plenty of other journalists doing this and that you had taken on the crucial mission of telling the story of the afflictions of the other side, our enemies today and our neighbors tomorrow. Accordingly, it is from this position of respect that I find it necessary to respond to your recent articles on the war in which we are engaged today, so that you will be able to preserve the moral validity of your distinctive voice for the future. A few years ago, when the Hatuel family - a mother and her four children, of blessed memory - were killed on the way to one of the settlements in Gush Katif, I believed that this terrible death pained you as it did all of us but that like many of us you said in your heart: Why should these Israelis endanger their children by living provocatively, hopelessly, dangerously and immorally in Gush Katif? By what right do 8,000 Jews expropriate a sizable area in the densely overcrowded Gaza Strip in order to build blossoming villages before the eyes of hundreds of thousands of refugees living in such abysmal conditions? You were angry, as I was, at the parents and at those who sent them. And even though I believe that like all of us you felt the pain of the children who were killed, you did not brand the leaders of Hamas "war criminals" as you did the Israeli leaders, and you did not demand the establishment of an international tribunal to try them.
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When I asked you after the disengagement from Gaza, Gideon, explain to me why they are firing missiles at us, you replied that they want us to open the crossings. I asked you whether you truly believe that if they fire missiles the crossings will be opened, or the opposite. And whether you truly believe that it is right and just to open crossings into Israel for those who declare openly and sincerely that they want to destroy our country. I did not get an answer from you. And even though the crossings were in fact opened many times, and were closed in the wake of the missile attacks, regrettably I still did not see you standing firmly behind a moral position which says: Now, people of Gaza, after you expelled the Israeli occupation from your land, and justly so, you must hold your fire.

The doleful thought sometimes crosses my mind that it is not the children of Gaza or of Israel that you are pining for, but only for your own private conscience. Because if you are truly concerned about the death of our children and theirs, you would understand the present war - not in order to uproot Hamas from Gaza but to induce its followers to understand, and regrettably in the only way they understand in the meantime, that they must stop the firing unilaterally, stop hoarding missiles for a bitter and hopeless war to destroy Israel, and above all for the sake of their children in the future, so they will not die in another pointless adventure.

After all, now, for the first time in Palestinian history, after the Ottoman, British, Egyptian, Jordanian and Israeli conquests, part of the Palestinians has gained a first and I hope not a last piece of land on which they are to maintain a full and independent government. And if they start building, developing and pursuing social endeavors, even according to Islamic religious law, they will prove to the whole world, and especially to us, that the moment we terminate the occupation they will be ready to live in peace with their surroundings, free to do as they wish, but also responsible for their deeds.

There is something absurd in the comparison you draw about the number of those killed. When you ask how it can be that they killed three of our children and we cause the killing of a hundred and fifty, the inference one can draw is that if they were to kill a hundred of our children (for example, by the Qassam rockets that struck schools and kindergartens in Israel that happened to be empty), we would be justified in also killing a hundred of their children.

In other words, it is not the killing itself that troubles you but the number. On the face of it, one could answer you cynically by saying that when there will be two hundred million Jews in the Middle East it will be permissible to think in moral terms about comparing the number of victims on each side. But that is, of course, a debased argument. After all, you, Gideon, who live among the people, know very well that we are not bent on killing Palestinian children to avenge the killing of our children. All we are trying to do is get their leaders to stop this senseless and wicked aggression, and it is only because of the tragic and deliberate mingling between Hamas fighters and the civilian population that children, too, are unfortunately being killed. The fact is that since the disengagement, Hamas has fired only at civilians. Even in this war, to my astonishment, I see that they are not aiming at the army concentrations along the border but time and again at civilian communities.

Please, preserve the moral authority and concern that you possessed, and your distinctive voice. We will need them again in the future, which promises further ordeals on the road to peace. In the meantime, it would be best for us all - we and the Palestinians and the rest of the world - to follow the simple moral imperative of Kantian philosophy: "Act only according to that maxim by which you can at the same time will that it should become a universal law."

In friendship always,

The writer is an Israeli author. His latest novel, "Friendly Fire," was published in recent months.

mercoledì 14 gennaio 2009

Satirik

I wake up in the morning and suddenly fall on me TIL
How would you feel if someone throws on you TIL
לא בשביל זה בנינו בית יהודי

The children theysit in M.M.D
We cant go to MAKOLET, we cant go to school
But you don't understand because you live LACHEM BECHUL
How would you feel if in Paris they throw on you TIL
You ask for croissant but instead they throw on you TIL
Our army is הכי מוסרי בעולם
או לפחות בין החמישה המוסריים מכולם
טוב אולי אפשר לסגור
על הכי מוסרי באזור



איך זה נראה מאחורי הקלעים?
בואו לראות תמונות של צמד הראפרים בחזרות

איך זה נראה מאחורי הקלעים?

They throw on us TILIM, we come with METOSIM
But remember who started shooting on EZRACHIM
How do you feel if in London they shoot on EZRACHIM
You want LASHUT in the TEMZA but instead they shoot on EZRACHIM

If you ask why we fight
we say
They started
If you ask why we bomb
we say
They started
If you ask what we want
we say
.....

It's so hard when there is TZEVA ADOM
We have to לארח תושבות מהדרום
They walk naked in the house, they are so MISKENOT
Because גראד פגע להן בחדר ארונות

You support us or we take Benayun from Liverpool
And we tell Noa Tishbi to take back BETIPUL
We take Bar Refaeli, נשאיר את ליאו בלי כלום
Lets see him dating with Um Kultum
How do you feel if Leo was dating Um Kultum
And in "Sports Illustrated" instead of Bar there's Um Kultum

Look on us
Look on them
מי יותר דומה לכם
We have McDonalds
תיכף H&M
אפילו סודוך לא הגיע אליהם
אם לא תהיו בעדינו, לא תהיה ברירה
נזכיר לכם מה פעם באירופה קרה.
(הדי ג'יי: ) "שריפה אחים שריפה"....
נראה לי שהנקודה ברורה

Now you know how it feels if someone throws on you TIL
I hope they know how it feels if someone throws on you TIL
Support us, Hate them!
X-Plain!

מילים: אסף שלמון, אסף גפן, אילן שפלר
לחן: דודוש קלמס, גל תורן

Il libro del mese

La grande manovra a tenaglia. La sfortunata lotta contro l'imperialismo di Nadal Pis'cianz da Montona

Claudio Fait

Prezzo di copertina: € 14,00

I contenuti

Istria, settembre 1677. L'ex seminarista e contrabbandiere Nadal Pis'cianz è condannato a cinque anni di remo. Al terzo, la galera sulla quale è imbarcato è abbordata e catturata dai Morlacchi e lui venduto come schiavo in Albania. Diventa musulmano, s'affranca involontariamente dalla servitù, s'arruola nell'esercito turco e al suo seguito attraversa il Montenegro e la Bosnia per partecipare all'invasione dell'impero asburgico. Dicembre 1682. Un minuscolo contingente militare si stacca dall'armata dei sultano Muhamad IV, sbarca in Istria con l'intenzione di raggiungere l'Austria, aggredire alle spalle le truppe imperiali, costringerle a difendersi su due fronti e favorire così l'avanzata ottomana dai confini ungheresi verso Vienna. E a questo punto che s'intrecciano le due storie, perché l'idea della "Grande Manovra a Tenaglia", avuta e sostenuta con ossessiva caparbietà dal promotore della spedizione, ma ostacolata dallo scetticismo dei suoi ufficiali, rischia di rimanere un'astratta ipotesi strategica, finché, ad esaltarne la genialità non interviene un umile fantaccino capitato lì per caso e gratificato di virtù divinatorie...


Il dialogo

Il Rabbino di Venezia Richetti in un'intervista sull'impoverimento del dialogo con la chiesa cattolica e la reintroduzione della preghiera che auspica il ritorno degli ebrei alla "Vera" Fede (quella cattolica per intenderci):
«Dialogare vuol dire rispettare ognuno il diritto dell'altro a essere se stesso, cogliere la possibilità di imparare qualcosa dalla sensibilità dell'altro, qualcosa che mi può arricchire. Quando l'idea di dialogo come rispetto sarà ripristinata, i rabbini italiani saranno sempre pronti a svolgere il ruolo che hanno svolto negli ultimi cinquant'anni».
V.di articolo intero qui

martedì 13 gennaio 2009

Take a break.

We take the car, it is a sunny day, it looks a peaceful day. We drive across the desert hills of the northern Negev, the same sensual hills in Shalev's book. We chose the hours within the humanitarian ceasefire, you never know. The traffic is not as usual. You once said : "Israel is 6milion people in their car driving north to south and backward, every day"... just not today. It's wartime. Our children are locked in their Kindergartens, the students aren't crowding the university, the families are not running from one shopping center to the other. Not bad,... for an instant, a sarcastic instant. The war. Leave it out of the car for today.
Tel Aviv, Jaffa, the confusion and decadent blocks of Jaffa, shops of waste and motorcycle alternate. The old city and its blend of Arab, Christian and English culture, The Israeli building rush of the 50s and 60s on top of all that. New projects, for the elite of the Tel Aviv fringe society, apartments in Jerusalem stone, facing the sea, at their foot a promenade stretches with shops and coffeehouses, it is becoming one of the most expensive quarter of Tel Aviv, well... to late to buy an apartment here, dear. The clock-tower, the old Ottoman building of the police station and the sea opens in front of us, the salty smell and breeze tickle the nostrils.
Blue, green and dark blue the sea under the surfs riding the wind and a song, an old song of שׁArik Einstein plays in my head and on my lips.

Taking time and not thinking
Sitting facing the sea and not to worry
Giving the head rest from the explosions
Giving the heart rest from the pressure

I know this is not the time
Actually I ain't ready yet
But the soul wants some rest
Grab air to get back to "reality" (work. in the original version)

Perhaps this is just a little crisis, and it's gone
Or maybe I have become a bit tired

Aa

martedì 6 gennaio 2009

It is just a matter of analogy

If Mexico shelled Texas, like Hamas shells Israel
By Bradley Burston
Tags: Israel News, Israel, Hamas

Analogy One: A fanatical religious party wins a string of elections in Mexico's northern states, then stages a civil war to drive out the federal government and take full control.

The party's charter demands the return to Mexico of the occupied territories of California, Nevada, Utah, Arizona, New Mexico, Colorado and Texas.

Firing homemade rockets and more advanced projectiles smuggled in from Iran and China, the party's gunners can hit a total of one of every seven Americans, or 43,598,000 people, in a broad swath which includes Los Angeles, San Diego, Phoenix, Albuquerque, Austin, San Antonio and Houston, and Las Vegas.
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In all of these areas, pre-schools, grade schools, and universities are all forced to shut down. Families sleep in bomb shelters, and return to them several times a day during air raids. Businesses are shuttered, and the economy shuts down.

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Analogy Two: A man comes into your home. He has a gun he made himself. He points it at your family. He fires, but misses. The gun has little accuracy. He fires repeatedly, missing again and again.

You have a much better gun, made in a real factory. It is in the drawer in the bedroom.

Demonstrators in London and San Francisco - who are distant relatives of the gunman - stage a protest, calling you a murderer and demanding that you keep the well-made gun in the drawer because it would be a disproportionate response.

The man with the homemade gun, it turns out, is a religious fanatic who lives across the street. You were once his landlord. There is much bad blood between you.

He races back across the street. He has a larger weapon that he smuggled in through his basement. He shoots from behind his younger son. He wounds your daughter. You take out a rifle. You aim for him and hit the son, killing the boy.

The demonstrators are now calling you a Nazi and chant "Slaughter the Landlord!"

[In his defense, the neighbor explains that you have kept him and his family locked in the house, and have at times, failed to pay his water, gas and electric bills, causing them to be turned off.

This is some years after the neighbor send out his older son, nicely dressed, to knock on your door. Your older daughter opens the door. He greet her politely, and presses the detonator on a homemade bomb.]

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And finally a word about...

Analogy Three: Gaza as the Warsaw Ghetto

Jew-haters the world over adore this one. It solves a number of problems at once:

It denies and diminishes and exploits the Holocaust, does disrespect to Holocaust victims and survivors alike, alleviates European guilt over complicity with the Nazis, alleviates American guilt over inaction in the face of the annihilation machine, misrepresents both the cruel reality of the Gaza Strip and the cruel reality of the ghetto, dismisses the humanity and the vulnerability of the million Israeli Jews and Arabs within rocket range, and ignores completely the role of Hamas, the Islamic Jihad, the Popular Resistance Committees, and the Al-Aqsa Martyrs Brigades, in having sent thousands and thousands and thousands of rockets and mortars into Israel.

As a bonus, pro-Palestinian demonstrators in San Francisco [where else?], referencing the the Warsaw Ghetto analogy, recently beat up a small number of pro-Israel demonstrators, reportedly shouting "Slaughter the Jew" at them in Arabic.

Way to bring peace.

Those are our boys.

Tre anni fa Israele metteva fine all'ocupazione di Gaza. Smantellava piccoli paesi, insediamenti del periodo in cui si pensava che fosse possibile tenere quella striscia di terra sotto controllo. Gaza ripulita etnicamente dalla presenza ebraica; non sarebbe stato permesso ad ebrei di vivere entro i confini e sotto la giurisdizione dell'autorita' Palestinese. Troppo odio. Dopo la "liberazione di Gaza" inizia il tormento dei Palestinesi, la guerra civile, iniziata da Chamas per il potere. Come usare Israele in tal senso? Razzi, razzi sulle citta' Israeliane oltre confine. Razzi per umiliare il moderato Abu Mazen. Razzi per rendere nulli gli accordi presi con la linea Palestinese pragmatica. Razzi per terrorizzare una popolazione di decine di migliaia di persone. Ad ogni razzo la sirena scatta, nelle scuole si interrompono le lezioni, negli asili si fermano i giochi e tutti corrono nelle camere blindate. 15-40 secondi il tempo che hai per metterti al riparo dalla pallottola impazzita di questa roulette russa. Sparano alla cieca, Chamas, sparano per colpire e uccidere. Ha ragione sig. D'Alema, non sono morti tanti Israeliani da tre anni a questa parte, forse entro la ventina, compresi quelli di oggi, eppure il terrore dei missili, il terrore del Bum, del suono viscerale della sirena sta rovinando una intera generazione. Si puo' vivere sentendosi sempre sotto tiro di un cecchino bendato? Si puo' mandare a scuola o all'asilo i propri figli? Si puo' portarli al mare? si puo' lasciare che escano la sera? si puo' signor D'Alema vivere per piu' di tre anni con razzi che piovono in continuazione. Provi a pensare una situazione similie su Trieste. Gia' pochi morti, troppo pochi per giustificare una azione militare dopo tre anni di tentativi diplomatici, secondo la sua idea. Forse le darei ragione, forse se l'avessi sentita commentare in questi tre anni l'azione terroristica di Chamas sulla popolazione Israeliana, se avessi visto una pressione diplomatica su Chamas, se avessi visto un sostenimento chiaro di Abu Mazen, Forse le darei ragione. Eppure, eppure sembra che la sua sinistra sappia fare bei discorsi solo quando si accendono le telecamere sul Medio Oriente, e qualche razzo ogni giorno, lo sgretolamento della sanita' mentale di migliaia di bambini Israeliani, quella non fa notizia. Quella non e' abbastanza per discorsoni.
La tattica di Chamas ha avuto i suoi frutti, tra la guerra civile Palestinese finita con un golpe di Chamas e il debole appoggio della comunita' internazionale ad Abu Mazen, Chamas raggiunge il potere e continuano a cadere razzi su Israele. Ora che il potere l'hanno raggiunto, ora che hanno la possibilita' di venire riconosciuti dal mondo intero -pensavo- ora cambieranno strategia, non avrebbe senso altrimenti, hanno Gaza sotto controllo, la West Bank con Abu Mazen e' lontana, hanno la possibilita' di creare qualcosa di loro. Ingenuo! troppo razionale, o forse solo troppo pretenzioso. Chamas si trova al bivio e non sa prendere una decisione e hanno inizio le danze. Il Waltzer tra diplomazia semi soffocata e militarismo. Chamas e' ostaggio della sua stessa ideologia e non riesce a cogliere l'occasione di portare i Palestinesi di Gaza un passo avanti. Israele ha una prima incursione, un centinaio di morti. Gia' signor D'Alema, le piace il termine violenza sproporzionata. Forse non ha chiaro in mente come funziona la tattica di Chamas. Sparare da dietro un edificio, da una finestra di una casa, mantenere i propri soldati mischiati alla popolazione civile .... mi dica D'Alema come si puo' combattere un vigliacco simile? come si puo' fermare? come si puo' ferire il suo braccio armato a meno che non sia egli stesso a buttare il mitra a terra. Diplomazia. No? davvero? ma lei pensa che la storia si fermi tra un telegiornale ed un altro? Lei insieme ai suoi concittadini ben pensanti, pensa davvero che qui tutto venga ibernato ogni volta che le telecamere si spengono? Giorni, setimane, mesi e anni di diplomazia e la posizione di Chamas non e' cambiata di un millimetro, nessun riconoscimento di Israele, la guerra armata continua (fino alla liberazione di tutta la Palestina). Palestina si intende quella definita dai Romani, quella stessa che fu assegnata dalle Nazioni Unite all'Impero Britannico dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano. Quella stessa di cui fu proposta la spartizione nel '48, qualche giorno prima che i paesi arabi dichiarassero i tre "No" e iniziassero la prima offensiva allo stato d'Israele. Ma questa e' storia e ricordo che per lei non esiste la storia ma solo edizioni di Tele giornale. La diplomazia ad ogni modo, aiutata da una "mirata" reazione militare ha dato i suoi frutti e si arriva -mesi fa-, ad un cessate il fuoco. Chamas tramite paesi arabi quali la Turchia, accetta di trattare con Israele, lo stato che non riconosce. I razzi continuano a piovere... perche'??? ma perche'??? mi chiedo io! a quale scopo? sono un entita' con autoria' oppure sono frammenti di clan e gruppi che si litigano il potere in continuazione? cosa diavolo pensano di raggiungere in questo modo? il cessate il fuoco non regge piu' di 48 ore e i razzi cadono. Mesi di finto cessate il fuoco, mentre Israele glissa, mentre il mondo se ne infischia (forse impegnato a guardare paperissima). L'Egitto taglia qualsiasi contatto con Chamas (fino all'altro ieri l'Egitto, offeso e umiliato dalla cecita' di Chamas, manteneva i rapporti unicamente con Abu Mazen), la comunita' internazionale se ne f....e (mi scusi il linguaggio ma la rabbia sale per l'ipocrisia che sa - che sapete dimostrare rispetto al Medio Oriente). La diplomazia fallisce per mesi... per centinaia di missili, per centinaia di allarmi rossi, per centinaia di corse ai bunker, per decine di giorni senza scuola, per decine di migliaia di pianti di bambini terrorizzati se scatta anche una sirena di un auto! la diplomazia fallisce e ha inizio la guerra. Lo stato di Israele ha il dovere come stato sovrano di difendere i propri cittadini. Non e' un diritto, e' un dovere. E ha inizio il gioco del gatto e del topo e le telecamere si accendono. I signori di Chamas trovano rifugio sotto l'ospedale di Gaza, nei bunker, protetti dalla morale che loro disconoscono. Israele conosce Gaza purtroppo, conosce la tattica dei terroristi, sa che a grandi linee si tratta di attirare Israele nei vicoli delle citta' per causare piu' vittime tra i civili per far crescere l'indignazione mondiale, per isolare Israele. Questa volta pero' non e' possibile tornare indietro. Non si puo' pensare di ritornare ai mesi di razzi su israele senza risposta. La situazione deve cambiare e improvvisamente i ben pensanti iniziano a pensare, si ricordano che hanno lasciato Gaza in mano a ... buh... in mano a ... come chiamarli a parte terroristi, irresponsabili... cosa sono? deficenti? non so. I ben pensanti iniziano a girare la regione. Chamas continua a sparare razzi e minacciare di arrivare a Tel Aviv, di massacrare tutti i sionisti, urla e parla di Allah che porta la vittoria e sembra tanto ridicolo, grottesco, se non fosse cos'i vero, se non sentissi dentro di me la paura per gli amici che sono stati richiamati, la preoccupazione per i razzi che si avvicinano a casa mia, all'asilo dei miei bambini (chiusi a chiave nell'edificio in questi giorni per paura di attentati), la tristezza per i morti e feriti civili intrappolati dal fanatismo dei propri leader, la rabbia per gli ignoranti che nelle piazze urlano slogan, robot a cui si mettono e tolgono le pile, gente che se ne strafotte per la maggior parte del tempo e che passa il resto del tempo spaparanzata sulla poltrona di casa tra un grande fratello e una corrida, mentre qui la storia non va avanti, una situazione che non ha nulla di razionale, una guerra stupida.
Che i nostri ragazzi tornino a casa il piu' presto possibile a continuare la vita interrotta.